La Nuova Sardegna

LA STORIA. «Io, in pensione senza aver mai lavorato»

di Mauro Lissia
LA STORIA. «Io, in pensione senza aver mai lavorato»

La vicenda di “Charlie Dogs”, minatore per caso, ventisei anni di assenza alla Carbosulcis: «Quel buio, niente aria, non riuscivo a stare sotto terra»

20 ottobre 2014
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CAGLIARI. Ti aspetti un uomo stanco, perché nel Sulcis lo sanno: è difficile la vita del minatore. Fatica, una fatica bestiale e sudore a fiumi nelle gallerie sotterranee, polvere che ti fodera la pelle e ti toglie il respiro, il pericolo sempre dietro l'angolo a minacciare la vita degli operai.

Al contrario ti trovi di fronte l'immagine della salute, un giovane sessantenne che sprizza allegria da ogni poro. Chiedi com'è possibile e lui risponde con un sorriso contagioso: «Semplice, nel 2006 sono andato in pensione con trentacinque anni di anzianità, ma praticamente non ho lavorato mai». Mai? «Quasi mai, là sotto stavo troppo male. Sin dall'inizio io e il carbone non abbiamo legato». E allora? «E allora andavo dai medici -ride - chiedevo cure, capivano, mi accontentavano. Fino alla cassa integrazione. Era il 1993, una liberazione. Poi la mobilità e addio». Assenteista? «Più che altro assente, per ragioni certificate». Lavativo? «Termine inappropriato, possiamo dire che alla miniera ho sempre preferito musica jazz e corse in salita».

Allora facciamo i conti: ventisei anni di servizio alla Carbosulcis, pozzo di Seruci. Ventisei anni trascorsi tra malattie d'ogni tipo, cassa integrazione e mobilità. Alla fine il diritto alla pensione con lo scivolo lungo, quello che matura chi ha svolto sino in fondo un lavoro considerato usurante. I conti tornano: una vicenda un po' fuori dalle regole, ma dentro il perimetro della legittimità. Comunque un caso raro, forse unico nella travagliata storia industriale della Sardegna: siamo di fronte a un ammortizzatore sociale vivente.

Superato lo stupore è d'obbligo qualche dato biografico. Prima di tutto il nome: Carlo Cani, ex minatore pentito di Santadi, universalmente conosciuto come Charlie Dogs. A ribattezzarlo così fu Lester Bowie, compianto trombettista d'avanguardia scomparso nel 1999: «Eravamo amici, l'andavo a prendere all'aeroporto quando veniva a Sant'Anna Arresi, per il festival». Festival jazz, perché è da sempre il jazz la vera passione di Charlie, renitente al lavoro ma genio anche lui nella tecnica raffinata dell'improvvisazione: «Sì, meglio il suono del sax che quello del motopicco, la musica ha sempre alimentato la mia creatività, anche quando mi presentavo all'Inail per i controlli sanitari». Ed è proprio così, come fosse uno swing, che mister Dogs ha affrontato il mito sanguinoso della miniera, epopea secolare del Sulcis, lavoro dei padri, dei nonni e bisnonni, fonte di vita e origine di morte: «Era il 1980 - ricorda - e al mio paese, Santadi, spettava un'assunzione in Carbosulcis. Il primo nella graduatoria, all'ufficio di collocamento, non ne volle sapere. Purtroppo ero il secondo e chiamarono me».

Dogs ci pensò un po', infine maturò la decisione: «Mio padre Luigi, che adesso ha 95 anni, era minatore alla vecchia Carbosarda. Minatore vero, come quelli dei suoi tempi. Io non ero entusiasta, forse (ride) scattò l'orgoglio di famiglia».

Assunto, spedito al pozzo di Seruci, subito un corso di addestramento al lavoro: «Non che mi divertissi, però in quel momento mi pareva un gioco... il casco, l'attrezzatura, sarà che ero un ragazzo, il brutto è venuto dopo». Dopo ci sono le prime discese di prova e con quelle la claustrofobia, attacchi di panico che Charlie non faceva nulla per combattere, una sorta di alibi naturale: «Il sottosuolo, non ci avevo mai pensato... No no, per me era impossibile farcela, quel buio, mi mancava il respiro». Così Charlie marca visita, diventa ospite fisso degli ambulatori medici: «Mi inventavo di tutto, amnesie, dolori, emorroidi, camminavo sbandando come fossi ubriaco. O forse, a pensarci bene, qualche volta lo ero davvero. Mi capitava di urtare la parete con un pollice, impossibile lavorare con un pollice gonfio. Altre volte mi finiva la polvere in un occhio, avevo sempre un occhio pieno di polvere (ride). E il collo, mesi passati con il collare per tenere a bada una maledettissima cervicale. Ma la verità è che non ce la facevo, la miniera non era roba per me».

Una volta riuscirono a incastrarlo: «Rientrai da un periodo di malattia e mi ordinarono di presidiare la sala pompa, novanta metri sotto terra. Si trattava di ruotare un rubinetto per regolare il livello dell'acqua, se per caso l'avessi visto scendere o salire troppo. Ore ed ore disteso là, di fronte a quel rubinetto. Mi prese il sonno, mi svegliò lo scroscio dell'acqua che aveva invaso tutto, il caschetto che galleggiava... un casino». Mani nei capelli, le urla dei capisquadra. Sbattuto nel piazzale, a pulire le aiuole: «Lavoretto leggero, ma solo per qualche giorno, non stavo bene...». Riposo, convalescenza, fisioterapie in sequenza ininterrotta. Anni dopo un nuovo incarico. Racconta Dogs: «Eravamo in tre e il caposquadra ci disse che dovevamo scavare un foro settanta per settanta. Ma c'era un problema, nessuno sapeva come fare. Alla fine presi il motopicco e diedi una smossa alla terra, i compagni di lavoro mi guardavano come fossi un pazzo. Il sorvegliante tornò e ci chiese dove fosse il buco. La mia risposta? (ride) Era qua, lo vedi, ma tu non tornavi e l'abbiamo ricoperto per ragioni di sicurezza». Quella, per Charlie l'improvvisatore, fu l'ultima incombenza della carriera da minatore.

Seguirono tredici anni di cassa integrazione, a partire dal 1993. Con una parentesi che spegne il sorriso sulla sua faccia: «Luciano Loi, aveva ventott'anni. Un masso lo prese tra la testa e il collo. Lo tirammo fuori che era già morto. L'ho sempre girata a ridere, perché io sono un minatore per caso. Quel momento però mi è rimasto stampato nella mente e ancora mi ritorna. Morire così, un ragazzo, per uno stipendio da fame...». Era il 1998 e il caso Carbosulcis, la storia delle miniere di Nuraxi Figus e Seruci, era già un caso nazionale: «Io ci scherzo su perché la mia è stata una storia strana - avverte Charlie - ma laggiù, sotto terra, c'è gente che si è spaccata la schiena per anni e anni, gente che il salario se l'è guadagnato col sudore. Io li rispetto ma sono diverso (riprende a ridere), sono un minatore-jazz...».

Dopo la cassa integrazione, la mobilità. Centinaia di minatori hanno lottato e lottano ancora per aggrapparsi alla precarietà di quel lavoro superato dai tempi. Non Charlie Dogs: «Per me è stata la fine di un incubo, due anni e mezzo così e l'avvio delle pratiche per la pensione. Quello del minatore è considerato lavoro usurante, mi hanno dato lo scivolo e il conto finale ha fatto trentacinque, sono trentacinque anni di anzianità. Pensionato a cinquantadue anni». L'età giusta per dedicarsi alla musica nera e alle corse in salita, altra passione di Charlie: «Sono stato fortunato? Mah, diciamo che a mio modo ho superato le difficoltà. In fondo la vita va presa come viene, si tratta di trovare soluzioni». E il lavoro? «Il lavoro, parola importante... il lavoro... diciamo che lo guardo con rispetto».

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