La Nuova Sardegna

Il pm: «Cinque anni di carcere a Scarpa»

di Mauro Lissia
Il pm: «Cinque anni di carcere a Scarpa»

L’accusa: con 116mila euro del “misto” ha pagato le spese private della moglie e l’affitto dell’ufficio di cui era proprietario

06 maggio 2015
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CAGLIARI. Coi soldi pubblici del gruppo regionale ha pagato anche il cartoncino pasquale spedito alla nonna Gavina, col proverbio antico di Porto Torres: «Il tesoro nascosto si trova scavando, cara nonna buona pasqua da tuo nipote Beniamino». Ed è proprio così, scavando scavando, che il pm Marco Cocco ha scoperto la somma di cui Beniamino Scarpa «s’è appropriato consapevolmente» quand’era consigliere regionale, legislatura 2004-2009: sono 116 mila euro. A spenderli è stata soprattutto la compagna e collaboratrice Roberta Medda, poi divenuta moglie. L’accusa. La requisitoria è durata un’ora e mezzo, toni a volte duri ed altre ironici. Alla fine la richiesta di condanna: colpevole di peculato aggravato, cinque anni di carcere e nessuna attenuante a causa di un comportamento processuale pessimo, con l’imputato «che ha cambiato versione difensiva, ha cercato di nascondere anzichè spiegare». Scarpa ha ascoltato al fianco dell’avvocato Silvio Piras, ha preso appunti, è rimasto in silenzio. Il pm è partito da una domanda: «Come ha speso quei soldi, l’onorevole Scarpa?». Quindi ha messo in fila le risposte difensive, smontandole una per una. L’ufficio politico di piazza Garibaldi, a Porto Torres? «L'appartamento era di proprietà di Scarpa - ha detto il pm - eppure l’imputato calcola a carico del gruppo un affitto mensile di 400 euro per 19 mensilità. Come se avesse affittato a buon mercato a se stesso, aggiudicandosi un trattamento benevolo. Ha fatto pagare al gruppo il proprio ufficio politico personale».

L’Audi 3. Secondo capitolo: «Le spese per l'acquisto e la gestione dell’Audi 3, identica alla sua. Sono 63.833 euro. La seconda è sempre stata nella disponibilità di Roberta Medda, ma è lei a dirlo in tribunale, non Scarpa. La Medda disponeva di bancomat e carta di credito del conto dove confluivano i fondi del gruppo, spendeva a piacimento. Viene da chiedersi perché Scarpa non parli della Medda, a lui legata dal 1999, prima clandestinamente, sposati nel 2008 e separati nel 2014. Nel 2012, quando non ne parlò, non poteva essersi dimenticato di lei».

Gli auguri. I cartoncini d’auguri: «Li mandava a spese del gruppo - ha sostenuto Cocco - e tendeva a valorizzare la variante sassarese della lingua sarda, per esaltare sentimenti come tradizioni, famiglia, perseveranza, amore. Gli invii postali erano tesi a diffondere la lingua sarda e avvicinare le istituzioni ai cittadini. Un esempio? «Un antico detto portotorrese “durante il percorso si aggiusta il carico - ha letto il magistrato - durante il percorso di aggiustano le cose”». Un detto cui forse Scarpa si è ispirato, modificando la versione difensiva dei fatti nelle diverse fasi del procedimento. Così, tra un interrogatorio e l’altro, sono saltate fuori «spese di varia natura per 20mila euro e più, 200 per timbri autoinchiostranti, poi un contributo al Psd’Az e 26 volumi sulla storia sarda, 200 copie dei “Sardi popolo leggendario” e persino 550 bandiere del partito sardo. E cosa c'entrano col gruppo?»

900 mila euro. Ancora: «C’è un pagamento per l'abbonamento online alla Nuova Sardegna. Chiedo se è possibile pagare il quotidiano con i soldi del gruppo, quando Scarpa prendeva già tremila euro al mese come indennità di aggiornamento» e nell’arco della legislatura «ha incassato complessivamente 900 mila euro». Ma è sul profilo processuale di Scarpa che il pm Cocco ha puntato il dito: «Dall'interrogatorio della Medda emerge con chiarezza che Scarpa sapeva che non poteva essere assunta e pagata con i soldi dei gruppi. Nelle spese della carta di credito e bancomat ci sono spese di parrucchiere ed estetista. Ha cercato di nascondere che i soldi erano andati alla Medda. Perché? Lui ha risposto “volevo evitare di coinvolgere altre persone”. L'imputato ha nascosto a pm e gip la reale destinazione dei soldi, ha mentito per evitare di esporsi ulteriormente. Perché sapeva che mai avrebbe potuto pagare la Medda con quei soldi, eppure lo ha fatto». Tutto questo dimostra, per il pm, che «c'è un dolo conclamato e della maggiore intensità. Che colora, tinge la condotta processuale dell'onorevole, il quale peraltro non ha neppure restituito i soldi». Il 16 giugno la sentenza.

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