La Nuova Sardegna

Cento nuraghi sotto il fango, la mostra a Sardara

Walter Porcedda
Cento nuraghi sotto il fango, la mostra a Sardara

L’ipotesi di uno tsunami che tremila anni fa sommerse il Campidano

03 giugno 2015
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SARDARA. Ichnusa, già terra d’Atlante, era una volta popolata di torri alte come colline, diventate, nel breve volgere del tempo di una eclissi di sole, colline di fango alte come torri. Un muro di acqua di decine di metri entrato dal golfo di Cagliari con la velocità di trenta metri al secondo si insinuò rapido ricoprendo la piana rigogliosa del Campidano e fermandosi solo davanti alla Giara. Era il 1200 avanti Cristo, probabilmente, quando ipotizza Sergio Frau, il giornalista di “Repubblica” autore del best seller “Le Colonne d’Ercole” (dove si sostiene che le colonne fossero anticamente ben al di qua di Gibilterra, tra la Tunisia e la Sicilia, con la Sardegna, collocata al di fuori che poteva essere la mitica Atlantide descritta da Platone) un asteroide cadde dal cielo sul golfo degli Angeli scatenando un vero tsunami. La civiltà nuragica era allora all’apice, dopo quella data iniziò una lunga e inesorabile decadenza, dovuta forse a quella terribile onda?

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S’unda Manna. Così come si intitola la mostra apertasi ieri pomeriggio nei locali della casa Pilloni a Sardara. Un’esposizione che è pure il primo vero e puntiglioso reportage di quella catastrofe accaduta migliaia di anni fa. Sono foto scattate nel cielo da Ettore Tronci, grazie a un drone, e scandiscono con lucida e assettica documentazione i tempi di quel dramma, dando corpo e sostanza alla tesi sostenuta da tempo da Frau, e parte di un progetto di ricognizione e verifica sul territorio (assieme ad una serie di carotaggi già effettuati nella zona del Sinis) voluta dallo stesso giornalista, il geologo Mario Tozzi e l’associazione Aaaio.

Decine e decine di nuraghi, solamente visti dall’alto. Più di cento. Il drone abbraccia l’area da poche centinaia di metri e ne individua i segni, le tracce. E’ uno scenario imponente fatto di centinaia di torri scomparse, inghiottite dalla terra, la grande parte finora ignorata. E poi un numero consistente, attorno a una ventina, è di dimensioni incredibili.

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Tra i cespugli e la vegetazione si intuiscono le linee architettoniche di complessi imponenti quanto i siti di Genna Maria o Barumini. Proprio una foto degli anni cinquanta mostra in bianco e nero quella collina nera di terra che poi il Sardus Pater, Giovanni Lilliu, con passione e determinazione scavò riconsegnando ai Sardi un primo pezzo della loro memoria perduta.

Per ricomporla interamente però, occorrerà fare luce ancora, scavando con intelligenza nel buio del tempo, passando «dall’archeologia all’archeo-logica» come dice con una espressione curiosa lo stesso Frau nell’introdurre ieri mattina il convegno di studiosi dentro la chiesa di Santa Anastasia, costruita – come avviene in centinaia di altri siti – sui resti di un affascinante insediamento nuragico di cui si possono ammirare alcune capanne e un bellissimo pozzo. Lo spazio è pieno all’inverosimile. Nei volti delle persone, discendenti di quell’antico popolo di costruttori di torri si legge l’attenzione di chi vuole conoscere le proprie radici, sollevando il velo su secoli di silenzio.

Le occasioni per interrogarsi e riflettere non mancano certo. Iniziando dal massimo esperto di tsunami, Stefano Tinti dell’università di Bologna, che dopo aver raccontato puntigliosamente tutti i possibili effetti di maremoti, frane sottomarine ed eruzioni vulcaniche spiega come l’impatto di una cometa vicino al golfo di Cagliari possa aver incanalato nella piana del Campidano una massa d’acqua straordinaria («è idronicamente plausibile» ha detto Tinti). Per questo «occorre trovare delle tracce» perchè solo così si acquisiscono le prove di una catastrofe simile a quella avvenuta nell’isola di Santorini che distrusse la civiltà minoica. Altri spunti e contributi, per oltre due ore, sono giunti dalla puntale ricostruzione storica di Claudio Giardino (ateneo di Lecce) sul sapere metallurgico dei nuragici. Riflessioni stimolanti anche dal cartografo Andrea Cantile (università di Bologna)che ha insistito per continuare a ricercare indizi e prove utili a riscrivere la storia.

La mostra si può visitare fino ai primi di ottobre.

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