La Nuova Sardegna

Rinascita, una scommessa che cambiò la Sardegna

di GUIDO MELIS
Rinascita, una scommessa che cambiò la Sardegna

Venerdì a Sassari un convegno per ricordare la figura di Paolo Dettori

17 giugno 2015
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di GUIDO MELIS

Quanto è ancora attuale Paolo Dettori? A 40 anni dalla sua scomparsa (aveva nel 1975 meno di 50 anni, oggi ne avrebbe avuto quasi 90), sarà questa la domanda cruciale nel convegno che, a lui dedicato, si terrà venerdì mattina a Sassari.

. Politico di razza

Dettori fu un politico di razza. Nato a Tempio, nel 1926, professore nelle scuole medie, fu precocemente contagiato dal virus della politica. Cattolico per tradizioni familiari e cultura, aderì alla Dc, divenendone ben presto uno degli uomini di punta, membro-fondatore di quel gruppo di quasi ragazzi che furono poi definiti “i giovani turchi”. Sotto la guida di un neanche trentenne Francesco Cossiga, conquistarono a sorpresa, nel 1956, il congresso provinciale democristiano di Sassari. “Rottamarono” in un colpo solo tutti i notabili scrudocrociati, cominciando dal mitico “cugino” di Segni, il potentissimo Nino Campus. Poi, alleati con un gruppo di cagliaritani, “scalarono” il partito regionale. Nel 1966 proprio Paolo Dettori fu eletto presidente della Regione. Era il primo sassarese a cui capitava. E non era un caso.

Come Aldo Moro

Dettori, come Aldo Moro del quale fu un convinto seguace, era consapevole della complessità dei problemi del suo tempo e di quelli specifici della Sardegna. Come Moro prediligeva la mediazione. Ma era anche capace, e ne diede prova più volte, di intransigenze morali nette e definitive, di posizioni politiche scomode, che gli costarono anche qualcosa. Un vero leader, insomma, come pochi ne ha avuto l’autonomia sarda. La politica, in quegli anni, voltava pagina. Dal partito dei notabili qual era la vecchia Dc si passava a quello dei tesserati e delle sezioni (a Roma l’innovatore era Fanfani). Un tema era cruciale in Sardegna: la Rinascita. Cioè il rovesciamento della nostra secolare storia di emarginazione e povertà per opera di una legge speciale approvata dopo lunghe battaglie nel 1962 (il Piano di Rinascita, appunto). Dettori fu interprete tra i principali di quel progetto ambizioso. Nato come uomo di partito, aveva tuttavia nel sangue la vocazione ad amministrare, a progettare, di organizzare uomini e risorse, di realizzare concretamente obiettivi.

Svolta storica

Dettori era convinto che lo Stato centrale dovesse corrispondere lealmente agli impegni assunti verso i sardi col Piano di Rinascita. Praticò a quel fine la “politica contestativa”: un autonomismo molto diverso da quello delle giunte, pure democristiane, succedutesi nell’immediato dopoguerra; un autonomismo puro e duro, consapevole degli obiettivi di programmazione e deciso a farli rispettare allo Stato, costasse quel che costasse. Fu il grande sogno della Rinascita. Una legge per l’isola. Risorse aggiuntive e non sostitutive di quelle ordinarie. Fare uscire in pochi anni, in poco meno di una generazione, i sardi dalla miseria. Costruire i servizi, le fogne, i servizi essenziali nei tanti paesi che ancora ne erano privi: gli acquedotti, le strade, le scuole, gli ospedali. Rimboschire. Creare un’agricoltura moderna, riducendo le terre incolte e valorizzando la piccola proprietà. Sviluppare i trasporti, rompere l’isolamento esterno ed interno. Soprattutto attrarre in Sardegna l’industria capitalistica moderna. Da pastori in gambali a operai in tuta blu. «Nella Rinascita c’è un posto anche per te», prometteva un celebre slogan. La politica “contestativa” fu la soluzione: individuò, anche semplificando molto i termini del problema, un nemico esterno.

Gioco delle parti

E questo nemico fu lo Stato, il governo nazionale, seppure a guida in quegli anni (e qui sta il paradosso) ugualmente democristiana. In questo che poteva anche apparire un gioco delle parti (e tale apparve, almeno a tratti, a molti osservatori) si traduceva la sapienza politica di Dettori, del suo fratello gemello Pietro Soddu e degli altri loro amici (anche se la politica contestativa non fu solo monopolio della loro corrente). Il governo nazionale, come adesso dice bene Salvatore Mura in un bel libro appena uscito su pianificare la modernizzazione, «era inadempiente».

Fratture politiche

Si poteva, anzi si doveva, dunque, rivolgergli una pretesa pressante di intervento, dietro la quale unificare “il popolo sardo”. “Il popolo sardo”, perché dietro la politica contestativa, si faceva strada l’idea dell’unità degli interessi regionali e del necessario superamento del conflitto che aveva spaccato in due la politica anche sarda del dopoguerra tra maggioranze a guida democristiana e opposizioni comuniste e, per un lungo tratto, socialiste.

Luci e ombre

Riuscirono, Paolo Dettori e i suoi amici, a vincere la loro battaglia? Un bilancio storiografico obiettivo metterebbe in evidenza molte luci ed alcune, dense ombre. Luci, perché lo sviluppo ci fu, il cambiamento sociale avvenne. La Sardegna dopo il 1962 cambiò volto, è incontestabile. Ombre, perché il prezzo pagato fu doloroso: Manlio Brigaglia parlò allora di «catastrofe antropologica», per dire di un mutamento che aveva travolto senza mediazioni economie familiari, culture, identità, appartenenze, generando spesso nuove, dirompenti contraddizioni sociali. Il segno meno, nel bilancio, però, va ascritto specialmente alla debolezza della Regione. Non tanto per aver lasciato agire gli “animal spirits” capitalistici ma per aver ceduto di fatto il comando al grande capitale privato, per altro lautamente finanziato coi soldi pubblici. Fu Nino Rovelli, insomma, e non la Regione sarda, il deus ex machina neanche tanto nascosto, talvolta persino il burattinaio delle scelte di fondo di quegli anni.

Nani e giganti

Può darsi che un esito simile fosse nelle cose. Se si mette un gigante in un mondo di nani, avviene quello che Jonathan Swifth racconta nei “Viaggi di Gulliver”. Non sempre si riesce a legare il gigante. Ma in questa strutturale debolezza del potere autonomistico, incapace di “legare i gigante”, sta uno dei punti interrogativi che occorre porsi. La nave sarda, per parafrasare un’espressione di Bettino Craxi che certo non sarebbe piaciuta a Dettori, andava; andò per molti anni. Nacque in quegli anni la nuova classe operaia poi protagonista della svolta a sinistra degli anni Settanta. Nel bene e nel male si impose la modernizzazione. Ma anche si evidenziò subito la debolezza di fondo del timoniere politico. Costretto a seguire rotte che furono determinate da altri, verso mete che forse non furono all’atto pratico quelle che i suoi leader migliori, e tra essi Dettori, si erano prefigurati di poter raggiungere.

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