La Nuova Sardegna

Redentore, una festa di fede e di colori

di Francesco Pirisi
Redentore, una festa di fede e di colori

Grandissima partecipazione di pubblico lungo tutto il percorso della sfilata Al termine, davanti alla cattedrale la benedizione del vescovo Mosè Marcia

24 agosto 2015
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NUORO. Nuoro ha vissuto la sua giornata di festa solenne. Per gloriarla sono arrivati gruppi in costume da ogni parte dell’isola: 70 con 2800 figuranti. Ma non basta, a farle onore anche una fila lunghissima di cavalli e cavalieri. Un nuovo miracolo del Redentore, il numero 115. Una regione che si riunisce e una storia immutabile che si ripete, è il pensiero di Maria, che insegna inglese nella scuola “Borrotzu”: «Erano un po’ di anni che non vedevo la sfilata, è sempre entusiasmante. Per me è un tornare indietro nel passato. Apprezzo diversi popoli del mondo, ma poi ritorno alla nostra terra». Le parole della docente arrivano non appena nella via Lamarmora fa capolino il carro condotto da Giovanni Antonio Catte, una figura tipica del folclore di Nuoro. Gli siede a fianco la giovanissima Federica, quasi a fare da contraltare a quell’omone severo, con la barba bianca, che appare come l’immagine di una comunità tornata indietro nel tempo, ma sempre con il desiderio di ripartire dalle sue vicende più felici.

La città è presente anche con l’associazione folcloristica “Sos Canarjos” e una teoria di altri figuranti. Propongono colori, tessuti e fogge di più epoche, di quel vestiario da una parte indossato nel tempo ordinario, e dall’altro sistemato dalle donne nella cassapanca in attesa della festa. Ma anche pronto per le occasioni di lutto, dove anche la teatralità dell’abbigliamento e del contegno austero sembrano rafforzare una partecipazione sincera. Centocinquanta, duecento costumi cittadini, che sanno molto di “benvenuto” agli ospiti. I settanta gruppi non lasciano fuori alcuna terra. Cagliari è presente con il popolo di Villanova, quartiere storico: vessillo che si alza in cielo e chitarra che accenna le note di melodie di una città che ha visto alternarsi tra le mura molte genti e civiltà. Suonano e cantano anche donne e uomini del sodalizio che arriva da Sant’Antioco, nel profondo Sulcis. Un “Trallalera” che fa salire la gradazione dell’entusiasmo, dietro le transenne, dove c’è l’altro festival, quello delle famiglie, con i piccoli che salgono sul tetto dei passeggini affinché nulla vada perduto. Dal Campidano cagliaritano omaggio anche con Quartu, Sestu e Teulada. All’appello risponde Iglesias, che porta a Nuoro costumi medioevali, quando la città era Villa di Chiesa, con ruolo e vicende non certo da comprimaria nelle lotte giudicali, prima che dell’isola facessero “un sol boccone” gli Aragonesi, anche grazie a quelle divisioni.

La rappresentanza del capo di sopra è di uguale livello: Sassari, e insieme Ossi, Siligo, Sennori, Ploaghe e sempre Florinas, con la proposta del “ballo” accompagnato dal canto, e il sodalizio Ittiri Cannedu. I barbaricini di Orgosolo e Orune, Oliena e Dorgali, segnano ancora un altro successo, a sentire gli applausi e gli apprezzamenti del pubblico, anche di quello locale. Sopra le parti e i campanili la professoressa Sherri, un’americana di New York, che non stacca mai l’obiettivo dal corteo. Quando poi parla, il pensiero è chiaro: «Very elegants» («Molto eleganti»). Per aggiungere che è rimasta colpita soprattutto «dalla varietà dei costumi, dai gioielli». Ma non è tutto: «Si nota nei figuranti l’orgoglio di poter rappresentare il paese di origine. Un ruolo dove si inseriscono a meraviglia anche i più piccoli». Una nota per certi versi naturale per il continuo sfilare di una miriade di ragazzini, che spesso anticipano gli adulti. La palma del più piccolo è di Jacopo, appena un mese di vita, arrivato in Barbagia in braccio alla mamma con il costume di Ossi. Promette altrettanto bene Sofia, di Olbia, alla quale i genitori hanno deciso di far vivere gli entusiasmi della cultura gallurese.

Gli stessi ideali ormai maturi in Anna Maria Satta, che del gruppo “Feronia” di Posada è diventata una delle fisarmoniciste. E, tra i monti del Goceano, la liceale Raffaella Ladu, alla quale le anziane zie hanno affidato il costume di Benetutti. Niente passaggi di consegna generazionali, invece, per Lina Medde, 78 anni, una delle matriarche della processione laica del Redentore: è tra le fondatrice dell’associazione culturale “Onnigaza”, con la voglia di conservarsi ancora a lungo il posto.

Il finale sono quelle cento ragazze, che portano a sintesi la Sardegna del folclore, della cultura e della storia.

Così come i cavalieri, in sella a destrieri angloarabisardi, anch’essi un vanto locale. Gli stessi cavalli montati dai carabinieri, con il pennacchio ela divisa solenne, che hanno dettato il passo iniziale ai 70 gruppi, nella nobile scena del Redentore.

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