La Nuova Sardegna

la testimonianza

«Tutte bugie, mio padre non mi ha mai toccato»

di Roberto Petretto
«Tutte bugie, mio padre non mi ha mai toccato»

ORISTANO. Una rabbia composta, lucida, che non ti aspetti da un ragazzo di 24 anni. Una rabbia maturata in anni di processi, periodi trascorsi in comunità, situazioni familiari che definire complesse...

14 settembre 2015
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ORISTANO. Una rabbia composta, lucida, che non ti aspetti da un ragazzo di 24 anni. Una rabbia maturata in anni di processi, periodi trascorsi in comunità, situazioni familiari che definire complesse sarebbe un imperdonabile eufemismo. La definizione giusta la trova questo ragazzo di cui, seppure oggi sia ampiamente maggiorenne, ometteremo il nome per la delicatezza della vicenda. Così come era stato fatto durante le varie fasi processuali. Ecco la sua definizione: «Se mi passa il termine, io e mio fratello abbiamo avuto un’infanzia di cacca».

E quell’infanzia così brutta la racconta senza omissioni: «Nessuno ci ha mai ascoltato, nessuno ci ha mai chiesto cosa io e mio fratello avevamo effettivamente da raccontare».

Un’impianto di accuse pesantissime che era stato alla base di un lungo processo che, alla resa dei conti, aveva condotto alla condanna di uno solo degli imputati inizialmente coinvolti nella vicenda, ovvero il padre oggi 46enne dei due ragazzi. L’uomo è attualmente rinchiuso nel carcere sassarese di Bancali, dopo cinque anni trascorsi in una ritrovata tranquillità con quei figli persi di vista per tanto tempo, affidati a due diverse comunità di accoglienza nel bresciano.

Quelle accuse pesantissime, dicono i due ragazzi, oggi entrambi maggiorenni, non erano vere: sostengono che sarebbero state, per rimanere in termini prudenti, “ispirate” dalla madre. «Dichiarazioni che io e mio fratello rendemmo nel corso di un tragico incidente probatorio al tribunale dei minori di Cagliari. Lo ricordo bene quel giorno». Il padre dei due ragazzi e altre persone legate alla famiglia erano stati accusati di avere abusato di quelli che allora erano poco più che bambini. «Ma da allora nessuno ci ha più chiamato a dire la nostra versione. Nei vari processi - racconta ancora il più grande dei due fratelli - non siamo mai stati sentiti. Solo una volta, un precedente avvocato di mio padre, mi fece assistere a una parte dell’udienza, durante la sua arringa nella quale chiese al giudice, indicando me: “Questo le sembra un ragazzo che ha subito abusi?”. Prima e dopo, nulla».

La sua verità il figlio maggiore dell’uomo oggi rinchiuso a Bancali ha cominciato a raccontarla a Brescia, nella comunità che lo aveva ospitato. «Non è vero che ora io e mio fratello abbiamo ritrattato. Lo abbiamo raccontato diverse volte agli operatori della Comunità. Ma eravamo in strutture diverse, non potevamo fare fronte comune. E nessuno credette a me così come nessuno credette a mio fratello».

“L’altra verità” comincia a emergere nel 2009: «Uscito dalla Comunità ho scritto un memoriale, nel quale ho raccontato minuziosamente tutta la mia storia. L’ho stampato e l’ho consegnato agli operatori del centro».

Nessuna violenza, nessun abuso, nessuna attenzione “particolare” né da parte del padre dei ragazzi né da parte di alcun altro adulto. «Nella mia vita - dice ancora il maggiore dei due fratelli - non ho mai subito abusi sessuali. Mio fratello ha subito un episodio, ma da parte di un altro ragazzo ospite della struttura dove si trovava».

Dopo la Comunità, il ricongiungimento con il padre. «È stato lui a cercarmi e a trovarmi, su Facebook. Io ci avevo provato, ma lui non usava il suo vero nome. Sono andato a vivere da lui, insieme a mio fratello. Abbiamo parlato, abbiamo ricostruito le nostre storie. Abbiamo avuto finalmente una vita normale, facendo le cose normali che fanno tutti e che non avevamo potuto fare quando noi eravamo piccoli. Andare al mare, fare pesca subacquea, fare trekking».

Poi un nuovo uragano sconvolge la famiglia: la sentenza diventa esecutiva e per il padre dei due ragazzi si aprono le porte del carcere. È l’evento che segna l’inizio di una nuova battaglia. L’avvocato dell’uomo condannato ha annunciato che, sulla base delle ricostruzioni fatte dai figli, chiederà la revisione del processo. «La revisione - dice il ragazzo - è solo il primo passo. Puntiamo a ristabilire la verità. Non cerco vendetta, ma giustizia per mio padre».

In verità la rabbia c’è, ed è in parte rivolta anche verso le istituzioni: «Sì, sono arrabbiato. Con chi dice di fare gli interessi dei minori e in realtà non li fa».

Sulle effettive responsabilità di questa vicenda saranno forse ancora una volta i giudici a doversi pronunciare.

@Petretto

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