La Nuova Sardegna

Annullata la condanna di Molinas

di Mauro Lissia
Annullata la condanna di Molinas

Crac Ila, la Cassazione ordina un nuovo processo d’appello per il re del sughero

16 settembre 2015
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CAGLIARI. Ci sarà un nuovo processo d’appello per Gianfranco Molinas, uno dei re del sughero di Calangianus, condannato a un anno e quattro mesi perché giudicato colpevole di bancarotta fraudolenta documentale a conclusione del processo per il crac dell’Ila di Portoscuso, l’industria di produzione dell’alluminio finita in fallimento nel 2009 con trecento operai rimasti sulla strada malgrado un contratto d’area da cinque milioni di euro: la quinta sezione della Corte di Cassazione ha accolto integralmente la tesi dell’avvocato Patrizio Rovelli ed ha annullato la sentenza-bis, rinviando il procedimento a un nuovo collegio di secondo grado. L’attenzione dei giudici era rivolta al tema della ricapitalizzazione da oltre 20 miliardi di lire realizzata da Molinas nel 2000 e sulla riapprovazione dei bilanci del 1998 e del 1999. La domanda era: c’è stato rischio reale per i diritti dei creditori? Secondo i giudici della Cassazione «la responsabilità dei vecchi amministratori e soci non sussiste se non c’è un nesso causale tra le loro condotte e il fallimento e se esistono le prove di un intervento economico, come la ricapitalizzazione, idoneo a eliminare l’esposizione a rischio dei diritti dei creditori». Ed è il caso di Molinas, che a questo punto può sperare nell’assoluzione.

I magistrati supremi hanno invece respinto i ricorsi che riguardano le posizioni degli altri imputati: pene confermate quindi per due dei sindaci che avrebbero dovuto controllare l’amministrazione dell’azienda, Giorgio Mario Ledda, difeso da Benedetto Ballero e Maurizio Scarparo - sei mesi commutati in una multa di 45 mila euro - e Carlo Deidda, difeso da Rita Dedola e Luigi Marcialis, quattro mesi commutati nella multa di 30 mila euro. Per entrambi la sospensione condizionale e la non menzione della pena. I due sindaci pagano con la condanna la mancata vigilanza che, aveva sostenuto il pm, ha agevolato le scelte illegali dei dirigenti Rober Carboni, Stefania Gambacorta e Andrea Binetti – che hanno tutti patteggiato le pene, tre anni di reclusione per Carboni, due anni e sei mesi Binetti e due anni e dieci mesi Gambacorta – fino a portare l’azienda al tracollo finanziario e al conseguente fallimento. Restano sotto giudizio le posizioni dell’ex commissario di Olbia Mariano Mariani, del consulente Luigi Crippa, del legale rappresentante della “Lmi srl” Pietro Crescimbeni, del dipendente Ila Leonardo Piras. L’inchiesta giudiziaria sull’azienda di Portoscuso è nata dalla sentenza di fallimento, finita in Procura con forti sospetti di bancarotta,confermati dall’indagine della polizia tributaria, che ha consentito al pm Pilia di riscontrare quanto già i curatori Carlo Dore, Carlo Dessalvi e Giulia Casula avevano accertato con l’esame degli atti contabili e dei bilanci. Gli amministratori sono stati accusati di «gravi irregolarità» con una «rilevante alterazione delle rimanenze finali di magazzino, contabilizzate per un valore notevolmente superiore al reale, preordinato a occultare una perdita netta nell’anno 1997 non inferiore a 7 miliardi e 561 milioni di lire». Un artificio che poi si è ripetuto nel corso degli anni, per truccare i conti dell’azienda e metterla in condizione di rinviare la richiesta di fallimento, già allora inevitabile.

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