La Nuova Sardegna

Servono un miliardo e duecento milioni

di Paolo Merlini
Servono un miliardo e duecento milioni

Abbasanta, primo confronto tra la giunta regionale e gli amministratori locali sulla messa in sicurezza del territorio

22 settembre 2015
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INVIATO AD ABBASANTA. Servono un miliardo e 200 milioni per mettere in sicurezza la Sardegna dal fenomeno delle alluvioni, così frequenti negli ultimi anni anche per via dei cambiamenti climatici. Le brutte notizie però sono almeno due: la prima è che quei soldi non ci sono, visto che al momento la Regione può contare su 417 milioni grazie a un mutuo e su 110 milioni stanziati dal governo nazionale nell’ambito del piano Italia Sicura. L’altra brutta notizia è che la cifra superiore al miliardo di cui sopra è sottostimata: risale infatti a un monitoraggio parziale realizzato nel 2004, prima per intenderci dell’alluvione di Capoterra del 2008 e di quella di Olbia e del Nuorese del 2013, che hanno portato allo scoperto un sistema urbanistico fortemente a rischio in numerose aree dell’isola.

La giunta regionale ha scelto il centro servizi del Nuraghe Losa, ad Abbasanta, per chiamare a raccolta i sindaci della Sardegna e illustrare il piano di gestione del rischio alluvioni, inserito nel piano nazionale contro il dissesto idrogeologico. Un passo obbligato, ha detto l’assessore ai lavori pubblici Paolo Maninchedda, che è anche presidente del comitato istituzionale autorità di bacino, nella procedura che porterà all’approvazione definitiva del piano entro il 22 dicembre prossimo. Gli amministratori sardi, soprattutto quelli dei centri colpiti dall’alluvione del 18 novembre di due anni fa, hanno partecipato numerosi, e in qualche caso hanno fatto sentire la propria voce.

I clima che cambia. Ma qual è la situazione del dissesto idrogeologico nell’isola, e cosa è avvenuto negli ultimi anni così da far gridare all’emergenza? Il problema, come è noto, è di tutta la nazione, ed è legato alla concomitanza tra l’edificazione massiccia avviata dal secondo 900 e i cambiamenti climatici degli ultimi anni, con le sempre più frequenti bombe d’acqua che provocano enormi disastri. Il paradosso della Sardegna lo ha ricordato Maninchedda. «Le maggiori infrastrutture dell’isola sono state pensate quando il problema era la siccità: il problema era creare dighe, invasi e condotte. I cambiamenti climatici più recenti hanno evidenziato un sistema residenziale e infrastrutturale inadeguato. A rischio ci sono edifici pubblici, beni culturali, canali tombati, torrenti, fogne a cielo aperto. I comuni – dice l’assessore – hanno grandi responsabilità in questa situazione, e oggi sono chiamati a porvi rimedio cambiando rotta sul fronte della pianificazione, con la mitigazione del rischio idrogeologico o la pulizia dei canali. La Regione sarà al loro fianco per quanto possibile, cercando i fondi necessari, ma la responsabilità sarà dei comuni».

Paolo Maninchedda ha detto che proprio su questi temi si è svolto un primo confronto con le procure della Repubblica (in realtà solo quella di Nuoro, al momento) che hanno avviato indagini sulle responsabilità nelle tragiche conseguenze dell’alluvione del novembre 2013. Un incontro, come scrive l’assessore regionale ai lavori pubblici nel suo blog Sardegna e Libertà, per «verificare se le nostre procedure di approvazione e realizzazione dei lavori, i nostri piani di protezione civile e i nostri strumenti di pianificazione territoriale siano o no immuni da vizi e debolezze tali da non tutelare la sicurezza e l’interesse pubblico».

Il patto di stabilità. Il problema, come si diceva in premessa, è la mancanza di fondi. Tutti i comuni che hanno presentato domanda hanno avuto fondi, che però coprono appena il 25% delle infrastrutture da realizzare. Inoltre i comuni, per via del patto di stabilità, non hanno risorse per la manutenzione dei canali a rischio. Che fare, allora? L’utilizzo dell’ente foreste e del corpo forestale è più che un’ipotesi, dice Maninchedda, anche in vista della legge regionale che ridisegnerà le competenze dei due enti. Ma ai sindaci dei comuni a rischio l’assessore chiede un atto di coraggio: «Non vi abbandoneremo, ma nel frattempo voi amministratori dovrete attuare presidi, pulire i canali dove è necessario. E in caso di allarme, sgomberare le case a rischio, chiudere ponti e strade».

Da quasi vuoto, il bicchiere diventa mezzo pieno con l’assessore all’ambiente e alla protezione civile Donatella Spano. Dopo anni di inerzia, la Regione Sardegna sta lavorando al meglio su questo fronte, dice, e lo dimostra il fatto che le sia stato assegnato il coordinamento vicario nella commissione nazionale per la protezione civile. Dal primo gennaio è operativo a Cagliari il centro funzionale decentrato, cui spetta il compito di coordinare le situazioni di emergenza. Come sta funzionando? Bene, dice l’assessore Spano, e lo dimostra il modo in cui sono stati affrontati gli ultimi incendi. Ora c’è un manuale operativo che guida i comuni passo dopo passo nelle situazioni di emergenza. «Dobbiamo fare i conti con gli errori del passato – dice Donatella Spano – a cominciare da un’espansione edilizia spesso incontrollata. Le responsabilità cadono principalmente sui comuni, che oggi devono pensare a fare rete e attuare sinergie con i comuni vicini. Ma la Regione sarà al loro fianco. L’importante è che gli amministratori capiscano che su questi problemi non esistono controparti».

Manuale dei sogni. Loro, gli amministratori, sono decisamente meno ottimisti. Ivana Russu, assessore alla protezione civile del Comune di Olbia, dà atto alla giunta regionale dell’impegno e dei fondi stanziati dopo l’alluvione, ma se la prende con il manuale operativo della protezione civile: «È il manuale dei sogni. Attribuisce competenze importanti alle province, ma non considera che questi enti non hanno più fondi, o che quella di Olbia-Tempio verrà chiusa. Non ci sono mezzi, né personale per il monitoraggio o la pulizia dei canali». Il sindaco di Bultei, Francesco Fois, denuncia procedure burocratiche estenuanti nelle valutazioni dei lavori da eseguire; quello di Siniscola, Rocco Celentano, chiede conto dei finanziamenti per sostituire i canali tombati. «Servono piani intercomunali – dice – il rischio è che un comune sia in regola e quello confinante non lo sia affatto. Con gravi rischi per entrambi».

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