La Nuova Sardegna

Ottana, il grande bluff del Contratto d’area

di Federico Sedda
Ottana, il grande bluff del Contratto d’area

Pioggia di soldi a imprese mai avviate: restano capannoni abbandonati e cumuli di rifiuti

27 settembre 2015
3 MINUTI DI LETTURA





OTTANA. L’operazione messa in atto ieri dalla Guardia di Finanza di Oristano mette a nudo uno scenario già visto nel Contratto d’area di Ottana. Uno strumento, questo, che disegna i contorni del più grande bluff della storia dell’industria del centro Sardegna. E, forse, dell’isola, se non del Mezzogiorno italiano. Una truffa colossale. Mandata avanti negli anni Novanta e nei primi anni del Duemila nel silenzio più assoluto delle istituzioni (Stato e Regione) che hanno foraggiato le aziende con soldi pubblici. Frutto della cosiddetta programmazione negoziata. Negoziata, però, da pochi addetti ai lavori.

I numeri parlano chiaro: delle 29 aziende finanziate con il cosiddetto primo (e ultimo) protocollo aggiuntivo del Contratto d’area, ne sono rimaste in piedi soltanto una decina, tredici quelle revocate e cinque quelle morte ancora prima di nascere. I lavoratori occupati sono un centinaio. Tutti numeri aggiornati per eccesso. Si, perché neppure il comitato promotore del Contratto d’area, ormai ente fantasma della Provincia che non si riunisce da anni, non dispone di dati aggiornati. Un disastro certificato anche dalla guardia di finanza di Nuoro nel 2013: su 29 aziende controllate, ben venti sono risultate irregolari per un danno erariale di cento milioni di euro. Numerosi i fascicoli aperti dal tribunale fallimentare di Nuoro e Oristano. Eppure il Contratto d’area, accolto allora con squilli di tromba da Confindustria, sindacati e partiti politici, avrebbe dovuto partorire 29 piccole aziende in grado di dare lavoro a mille e 362 lavoratori con 168 milioni di contributi messi a disposizione dallo Stato, 114 dei quali erogati a piene mani. E spariti nelle tasche di nessuno. Il bilancio, dopo quasi vent’anni, è desolante. I capannoni chiusi o mai aperti ai confini tra i territori di Bolotana, Ottana e Noragugume, raccontano la storia di aziende fallite, soldi svaniti nel nulla, imprenditori pirata, lavoratori finiti per strada, alcuni assunti per mostrarli, con i macchinari mai avviati, alle commissioni di verifica per avere i contributi pubblici Nel giro di qualche anno, nel deserto del centro Sardegna, sono arrivate imprese che hanno presentato progetti fasulli, incamerato valanghe di contributi statali e fatto finta di avviare l’attività per incassare i finanziamenti. E poi sparire nel nulla. Senza che nessuno sia finito in galera. Truffe organizzate a tavolino.

La realtà, oggi, è sotto gli occhi di tutti. Dei progetti di un tempo sono rimasti capannoni abbandonati presi di mira dai ladri, strade in dissesto, cumuli di rifiuti mai smaltiti, strade al buio, recinzioni divelte. Basta entrare, per credere, negli ex capannoni della Tecma, della Ildicocat e della Prodex . Benvenuti nel regno delle macchine arrugginite costate milioni di soldi pubblici e nel rifugio dei pipistrelli. Una truffa colossale. Sulla quale la guardia di finanza ha aperto decine di fascicoli. Ma nessuno, finora, è stato chiamato a rispondere. Né a restituire il maltolto. Sono decine le aziende segnate con una croce: la Tecma, la L.C. Sistemia, l’Athetu, la Ecofridge, la Cartonsarda, la Cossu Formaggi, la Ildocat, la Ibs Design, la Master sarda, la Prodex, la Plasteco, la Sarecologia e ambiente.

Altre, invece, non hanno mai aperto, pur avendo ricevuto la prima trance dei contributi pubblici. È il caso della Pfone accesspories, della Teletron, della Ecosar, della Fada Italia. Un elenco di croci piantate sopra una valanga di soldi pubblici. Sogni di lavoro dispersi nel contratto degli inganni.

In Primo Piano
La lotta al tabacco

Un sardo su tre fuma e i divieti sono ancora blandi

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative