La Nuova Sardegna

istituti di pena nel caos

Suicidi e droga, in Sardegna scoppia l’allarme carceri

di Silvia Sanna
Suicidi e droga, in Sardegna scoppia l’allarme carceri

Un detenuto morto a Uta, altri casi a Nuoro. Una madre di 70 anni fermata dopo avere consegnato l’eroina ai figli

17 ottobre 2015
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SASSARI. La mamma che porta la droga ai figli rinchiusi in cella è il simbolo di un sistema carcerario che rischia di esplodere. La donna, 70 anni, è stata beccata all’uscita del penitenziario di Uta dal fiuto di un pastore tedesco: dal reggiseno è saltata fuori una siringa, l’eroina la madre premurosa l’aveva già consegnata ai due ragazzi detenuti ed è stata recuperata nei loro armadietti. A fine settembre nei guai era finito un papà: lui l’hascisc per il figlio, avvolto nella carta stagnola, l’aveva nascosto sotto la cintura dei pantaloni. A Uta, dove la maggior parte dei detenuti è tossicodipendente, la situazione è drammatica. Non solo per le falle dei controlli, legate allo scarso numero di agenti. Ma soprattutto per l’alto numero di detenuti che tenta di togliersi la vita. L’allarme sulle condizioni di vita nelle carceri è però più esteso: tutte le strutture isolane assomigliano a pentole in ebollizione.

Allarme suicidi. Giovedì un quarantenne cileno si è ammazzato impiccandosi in infermeria. Dopo 15 tentativi di suicidio andati a vuoto in appena 10 mesi – da quando è stata aperta la struttura carceraria nel Cagliaritano – il cileno ha raggiunto l’obiettivo. È grave, invece, il cinese che qualche giorno fa ha tentato di togliersi la vita nel carcere nuorese di Badu ’e Carros. Penitenziario storico, dal quale arriva la denuncia di un forte disagio. Esattamente lo stesso che si respira a Tempio-Nuchis, che mal sopporta il sovraffollamento: qui i reclusi sono 181 a fronte di 167 posti disponibili. E da Massama (Oristano) dove i detenuti sono 274, otto in più del numero massimo previsto, dalle celle arriva la denuncia di una situazione invivibile, ormai ai limiti della sopportazione.

Pochi agenti. Le strutture sono nuove: Massama ha tre anni di vita, Uta appena dieci mesi. A Sassari il carcere di Bancali – vicino al sovraffollamento – è stato inaugurato nel luglio del 2013 e ha permesso la chiusura del vecchio carcere di San Sebastiano nel cuore del centro cittadino. Anche Nuchis, ha una storia recente: ha aperto i battenti nel novembre del 2012. In tutti i casi si tratta di strutture molto grandi e moderne che hanno ereditato gli stessi problemi del passato. Pochi gli agenti di polizia penitenziaria, organici ridicoli rispetto all’alto numero dei detenuti: in queste condizioni garantire la sicurezza e controlli accurati diventa impossibile. Ecco perché la droga arriva facilmente nelle celle, ecco perché un detenuto ha il tempo di legarsi una corda intorno al collo e farla finita prima che qualcuno si accorga di lui. Un dato: solo a Uta, a parte i 16 tentati suicidi, in 10 mesi sono stati segnalati 250 casi di autolesionismo. Mentre sono stati 7 gli scioperi della fame collettivi, segnale inequivocabile di una situazione di profondo malessere.

Poltrone vacanti. Non solo. A complicare la situazione, ci sono anche molte poltrone di comando vuote o in condominio. Un solo direttore per Nuchis-Badu ’e Carros e per Bancali-Mamone. E lo stesso provveditore regionale Enrico Sbriglia, nominato a luglio, continua a gestire il Triveneto e verrà nell’isola soltanto in missione. Troppo poco, per un sistema che rischia il tracollo.

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