La Nuova Sardegna

Mater Olbia, giù la casa del custode

di Antonello Palmas
Mater Olbia, giù la casa del custode

Demolito l’edificio abusivo dell’uomo che vigilava sui terreni di don Verzè

29 ottobre 2015
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OLBIA. Quando le ruspe hanno cominciato a gettargli giù la casa, lui ha preferito non assistere. Quello stazzo di pochi metri quadri a “Chentu Accas” ingigantito in maniera abusiva, per Luigi Mulas, 55enne originario di Gergei, custode per conto di don Verzè, era tutta la sua vita. Ma l'area, nella quale aveva realizzato anche altre costruzioni irregolari, sorge proprio dove i nuovi acquirenti dell’ex Raffaele, ora Mater Olbia, vogliono realizzare un centro di riabilitazione adiacente al nuovo mega-ospedale.

All’arrivo degli agenti della polizia locale guidati da Gianni Serra per notificargli l’esecutività dell'ordinanza di demolizione, lui dormiva. I mostri di acciaio non hanno avuto pietà e da metà mattina hanno cominciato a demolire tetto, muri, infissi, riportando all'originale la costruzione e rendendola in pratica adatta a ospitare al massimo un ricovero per attrezzi. Da risolvere la questione della porcilaia abusiva.

La storia: ai primi di luglio il Comune notifica un’ordinanza alla Monte Tabor come proprietaria e a Mulas come esecutore delle opere. Imponeva entro 90 giorni la demolizione degli abusi e il ripristino a “Chentu Accas”. La nuova proprietà del Mater ha dei progetti per quell’area. A maggio era stato firmato l'atto di vendita tra l'amministrazione controllata della fallita fondazione Monte Tabor e gli acquirenti, il fondo sovrano del Qatar e la fondazione Bambin Gesù, che escludeva momentaneamente l'area dello stazzo di Mulas in attesa che si definisca la vertenza per usucapione da lui intentata. Un tentativo di bloccare tutto, quello dell’imprenditore Marini, era stato sventato. Ma a complicare il decorso dell'operazione Mater Olbia, ormai oltre i limiti del surreale, c’è ora anche un’ordinanza del tribunale di Tempio che blocca l’acquisizione da parte del Comune dei terreni su cui si devono realizzare i parcheggi, un punto nella partita a favore di Alfio Deiana che rivendica la proprietà.

La fondazione Tabor fa sapere di non poter ottemperare alla demolizione perché Mulas non collabora e così, decorsi i tre mesi, si arriva a ieri, quando il Comune mette in pratica l'ordinanza. Gli operai della ditta incaricata ci hanno messo diverse ore, per evitare di danneggiare le opere originarie. Via la veranda in legno, via gli stanzini e il bagno aggiunti alla casetta, ristrutturata di recente e resa abitabile con acqua, gas, tv.

Mulas si aggira a testa bassa tra agenti chiamati in forze, operai e i suoi 5 cani che seguivano incuriositi le operazioni («E ora che fine faranno?»). Ricorda di essere lì dal ’93: «Non mi sembra una cosa giusta, quello che sta accadendo. Mi contestano una minicameretta con un bagno abusivo. Io sono qua da oltre 20 anni. Cosa chiedo? Un’occupazione e che mi riconoscano i piccoli diritti che mi possono spettare». I servizi sociali gli hanno offerto un alloggio temporaneo a Porto Rotondo o in città tramite la Caritas, e un lavoro: «È vero, ma io ho continuato perché volevo stare qui». Poi si commuove e va via.

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