La Nuova Sardegna

«Il futuro della cucina è anche negli insetti»: le sperimentazioni di uno chef sardo a Copenaghen

Giovanni Fancello
Lo chef Roberto Flore (a destra)
Lo chef Roberto Flore (a destra)

«Sono un cibo antico, da millenni fanno parte dell'alimentazione», dice Roberto Flore, giovane cuoco di Seneghe che è tra i responsabili del Nordic Food Lab. L'esempio del casu martzu: «Lo mangiamo non perché pensiamo di salvare il mondo, ma perché ci piace»

27 novembre 2015
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SASSARI. Da qualche mese il Nordic Food Lab di Copenaghen, laboratorio che indaga sulle diversità alimentari e che esplora le tecniche culinarie di tutto il mondo, parla sardo. Tra i responsabili c'è infatti Roberto Flore, 33 anni, giovane cuoco di Seneghe.

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Flore è un talento precoce, in pochi anni ha collezionato tecniche, storie, sapori che hanno ispirato la sua visione della cucina, allo stesso tempo ha agito come ambasciatore della cultura gastronomica sarda. Con queste credenziali ha incontrato il Nordic Food Lab, simbolo di avanguardia e innovazione, creato dal Noma, ristorante che ha vinto più volte il titolo di miglior ristorante del mondo, e ora parte integrante dell'università di Copenhagen.

Nel Nordic Food Lab si combinano approcci scientifici e umanistici con tecniche di tutto il mondo. La diversità è il punto di partenza, ma anche l'obiettivo principale. In tempi in cui si parla di carni rosse cancerogene, di via libera dell'Ue agli insetti, di nuove frontiere dell'alimentazione, il lavoro di ricerca di Flore diventa un punto di riferimento per capire come cambia il mondo dell'alimentazione.

È vero che: “Gli insetti saranno il cibo del futuro”, e ancora, perché nell'Unione Europea c'è bisogno di autorizzazione, forse perché considerati nuovi alimenti?

«Gli insetti non sono il cibo del futuro. Dovremmo preoccuparci più del futuro del nostro cibo, vivendo il presente e agendo in maniera responsabile, in modo da costruire il futuro che vogliamo. Basta fare un po' di ricerca per capire che gli insetti sono stati un cibo antico, qualcosa che da millenni fa parte della alimentazione».

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È vero, dalle analisi delle ceneri dei focolari di 500mila anni fa sono state ritrovate tracce di insetti. Anche la Bibbia ne parla. Il consumo come alimento non è una novità. Poi i sardi sono consumatori da sempre del casu martzu.

«In tanti oggi, parlando di insetti, danno interpretazioni distorte sul tema. Gran parte dei problemi di oggi, sono il riflesso di una società che ha un rapporto confuso con il proprio cibo. Non esiste al mondo un unico ingrediente, un solo alimento che consenta di nutrire l'uomo, di appagare i gusti, di mantenere sani e allo stesso tempo essere sostenibile per l'ambiente. La sostenibilità va ricercata nella diversità, nell'accettare il fatto che la gastronomia mondiale si basa sullo scambio culturale. La conoscenza è il nostro futuro, non potremo mai inserire in Europa un nuovo ingrediente senza prima riconoscere, al di fuori dei campanilismi, la bellezza e ricchezza che un'altra cultura possa donarci anche in ordine al cibo».

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Prodotti tradizionali, sagre, si cerca di reinventare un passato scomparso. Ma una società tradizionale chiude le porte ad un cibo nuovo come gli insetti, dimenticando che è nel suo patrimonio gastronomico.

«Come possiamo pretendere di portare nel mondo i nostri prodotti, la nostra storia se nel momento in cui dobbiamo porci all'ascolto di ciò che gli altri hanno da raccontarci, facciamo finta di non sentirli, con la presunzione di essere migliori. Dovremmo prendere al balzo l’opportunità degli insetti e utilizzare la Sardegna come caso studio. Attirare l'attenzione sulla complessità e unicità della gastronomia sarda. La Sardegna e i sardi, che lo vogliano o no, fanno parte di quei 2 miliardi di persone che nel mondo includono gli insetti nella loro gastronomia. Questo non significa che noi viviamo di solo casu martzu. Non lo mangiamo perché siamo una cultura povera, ma lo mangiamo perché la nostra cultura gastronomica è ricca. In questi anni ho viaggiato tanto e ho vissuto tante esperienze: la cucina in Tailandia, in Africa, in Perù, in Messico, in Brasile, in Giappone, in Australia, utilizza come noi insetti; non basano le loro preparazioni solo su grilli, cavallette, formiche, larve e calabroni, ma ne fanno parte, come accade per noi con su casu martzu. Non mangiamo casu martzu perché pensiamo di salvare il mondo, ma perché ci piace così come fanno gli altri popoli con i loro insetti».

I medici del Medioevo sostenevano che ciò che piace fa bene.

«Sono sicuro che non mangeremo gli insetti perché sono sostenibili, come dicono quelli che vedono in questi un facile business e promuovono questa pratica rifilandoci lecca lecca di scorpioni o biscottini di grillo. È fondamentale parlare di gastronomia con rispetto in quanto materia che racchiude complesse scienze. Voglio essere chef con una visione globale e, dal punto di vista scientifico, avere la possibilità col Nordic Food Lab, di continuare la ricerca. È questo senso di responsabilità che mi conduce a vagare per il mondo senza perder di vista la mia amata Sardegna».

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