La Nuova Sardegna

Discoteche addio, le piste da ballo diventano market e case di riposo

di Alessandro Pirina
Discoteche addio, le piste da ballo diventano market e case di riposo

I locali simbolo della trasgressione sono chiusi o sono stati riconvertiti. Dopo la crisi del 2000 in pochi sono riusciti a resistere, molti i ruderi

07 gennaio 2016
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SASSARI. Per anni sono state il tempio del divertimento, dell’eccesso, della trasgressione. Riuscire a oltrepassare i cordoni della sicurezza significava entrare nel mondo dei grandi. Le discoteche sono uno dei simboli degli anni Ottanta, il decennio della modernità, della spensieratezza, della positività. Il boom della musica elettronica aveva costretto le vecchie sale da ballo a trasformarsi in luna park della notte, con specchi, sfere ed effetti laser. Mega strutture capaci di ospitare migliaia di persone cominciarono a nascere in ogni città, solitamente in periferia per evitare che la musica - o il rumore per chi odiava il mondo della disco - potesse essere fonte di disturbo della quiete notturna. Un boom che inevitabilmente contagiò anche la Sardegna, dove le prime sale da ballo erano nate 4 lustri prima in concomitanza con lo sviluppo del turismo. Ma se fino agli anni Settanta il popolo della notte amava uscire principalmente d’estate e nelle località balneari, nel decennio successivo la discoteca diventa un fenomeno di massa che non fa differenza tra estate e inverno, tra città e villaggi turistici.

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La Las Vegas mediterranea. A fare la parte del leone è il sud dell’isola. Cagliari e il suo hinterland diventano una sorta di Las Vegas mediterranea. Solo ad Assemini si contano sei mega locali con una capienza per 10mila persone. Dal K2 all’Eurogarden, passando per il Grillo, il Kilton, il Mon amì e il Woodstock. Qualche chilometro più a nord, a Samassi, c’è un altro tempio della notte, il Biggest, famoso per essere l’unica discoteca italiana ad aver visto esibirsi l’esordiente Madonna. La moda della disco contagia tutta l’isola e le cattedrali del divertimento si diffondono a macchia d’olio, da Sassari ad Alghero, da Oristano alla Gallura.

Gli anni Novanta. Il fenomeno cresce nel decennio successivo, quando nelle mega strutture del divertimento le piste vengono moltiplicate. La musica elettronica lascia il passo alla house, alla techno, alla commerciale e la discoteca deve differenziare la sua offerta. Sono gli anni dei locali multisala, con una pista per ogni genere musicale, più l’ambito privè per i pochi privilegiati con invito speciale. E ad animare le serate ci pensano le cubiste, ragazze pagate per ballare sui cubi rialzati ai bordi della pista. Gli anni Novanta sono il decennio della discoteca in stile Romagna. Ogni sabato - e d’estate ogni notte - migliaia di persone si mettono in fila per entrare nel tempio degli eccessi. Il biglietto costa in media 25mila lire, incluso il drink. La crisi della notte. Un fenomeno che sembra inarrestabile. Ma con il nuovo millennio la notte entra in crisi. O meglio il modello discoteca. I giovani che prima amavano scatenarsi nei grandi padiglioni costruiti fuori città ora prediligono il disco-pub, dove il menù è lo stesso, ma con costi nettamente inferiori. La consumazione obbligatoria sostituisce il biglietto d’ingresso e per la discoteca è l’inizio della fine. E così quelle cattedrali del divertimento costruite appositamente per il mondo della notte si svuotano. Da icone dello stile diventano scatoloni vuoti in attesa di nuovi padroni o di riconversione.

Da disco a market. Una mutazione genetica che talvolta fa a pugni con quella che era la destinazione d’uso originaria. I templi della trasgressione e dell’eccesso diventano luoghi della quotidianità, con le casalinghe al posto delle cubiste. È il caso di Assemini, che con la crisi delle discoteche è costretta a rinunciare al titolo di Las Vegas mediterranea. Il K2, simbolo di quel ventennio ad alto volume, è ora un supermercato. Un destino che l’accomuna all’Eurogarden, un’altra delle mete notturne più gettonate di quegli anni, convertita anch’essa in tempio della spesa.

La Riccione sarda. Se Assemini, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, poteva essere considerata la Las Vegas mediterranea, l’Oristanese era una specie di Riccione della Sardegna. In quegli anni, nella costa ovest tra Torre del Pozzo e Santa Caterina sorgono alcune tra le discoteche più note dell’isola. Prima Istella de su mare, poi il Menhir, infine il Drago, il locale più grande dell’isola che arrivava ad accogliere fino a 2800 persone. Uno spiazzo in campagna trasformato in regno della notte. Ogni serata registrava presenze a tre zeri. Ma tutto è finito agli inizi del nuovo millennio e ora di quella cattedrale del divertimento resta solo la scatola vuota, con insegna, prese per la corrente e luci spente.

Il nordovest. Uno scenario desolante che si estende a tutta l’isola. Dal sud al nord, dove le discoteche si erano diffuse soprattutto nelle zone costiere. A Sassari, c’era il Rotang, tra le prime dell’isola con la pista doppia. Un locale che negli anni ha subito una metamorfosi sostanziale: oggi è una casa di riposo per anziani. A Li Punti il Byblos, oggi ristorante, mentre alle porte della città i templi della notte erano l’Atrium e il Meccano, tutti chiusi. Oltre al BluStar di Ossi, che, a distanza di anni, continua a rimanere uno dei punti di riferimento della movida. A Porto Torres erano regni della notte il Blu Night, ora market, e lo Zoom, diventato un marmificio, mentre a Castelsardo il Vogue. Ad Alghero, invece, la parola divertimento ha sempre fatto rima con il Ruscello e con la Siesta, che ha chiuso i battenti nel 2015 dopo un quarto di secolo.

Gallura tra Olbia e la Costa. La movida gallurese è sempre stata influenzata dal turismo. I primi locali risalgono alla nascita della Costa, ma ben presto il mondo della notte mette casa anche a Olbia. La prima discoteca in città è il Nuovo Parco. È da qui che il gruppo dei Collage prende il volo, ed è qui passa anche il Jovanotti prima maniera di “Gimme five”. Nel 1991 cala il sipario, e oggi il vecchio Nuovo Parco è un rudere che deturpa il centro storico di Olbia. Agli inizi del decennio Novanta il capoluogo gallurese vede nascere il mitico Nottambula sul golfo di Cugnana. Meta di giovani per diversi anni, fino a quando non è costretto ad arrendersi alla crisi e a chiudere bottega. Oggi il vecchio luogo della perdizione notturna è la patria delle famiglie, tra feste per bambini e tornei di burraco. Simboli di quegli anni sono anche il Kiss di Tempio, due piani di discoteca (anche se nasce come albergo) abbandonata da anni, e l’Ottagono di Santa Teresa, che aveva al suo interno anche una pista di pattinaggio. Oltre al trasgressivo Sueno de Ibiza, ad Agrustos, che è poi si è trasformato nel Pata Pata, e all’i mmortale Estasi’s di Santa Teresa.

San Teodoro isola felice. Come il boom dei locali da ballo aveva contagiato tutta l’isola, anche la crisi si è estesa a macchia d’olio. Attualmente nel nord le uniche discoteche a resistere sono il BluStar di Ossi e il Villa Pascià di Olbia, ma non senza difficoltà. Va meglio d’estate, ma anche nei mesi caldi il numero dei locali aperti è nettamente inferiore rispetto agli anni d’oro. Resiste San Teodoro, considerata l’Ibiza sarda per una ricca movida che nell’isola non ha rivali: dall’Ambra Night alla Luna, dal Ripping al Pata Club, a luglio e agosto la notte è ancora ferma agli anni Novanta.

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