La Nuova Sardegna

«Sono arrabbiata, dovevano chiedere aiuto»

«Sono arrabbiata, dovevano chiedere aiuto»

L’assistente sociale: «Avremmo offerto tutto il sostegno». Una vicina: «Potevamo fare di più»

09 gennaio 2016
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SANTA MARIA COGHINAS. Nessuno sapeva, nessuno vedeva o voleva vedere. Nessuno in paese aveva il coraggio di avvicinarsi a quel tugurio nascosto da un vicolo chiuso, a metà di una arteria periferica di Santa Maria Coghinas, in cui vivevano un uomo e una donna in condizioni disumane. Due invisibili che la comunità aveva quasi dimenticato.

Paese termale, è scritto a grandi lettere sul cartello all’ingresso di questo piccolo centro dell’Anglona di 1600 anime, in questi giorni in fermento per la raccolta dei carciofi da spedire ai mercati all’ingrosso di mezza Italia. Eppure le terme di Casteldoria, chiuse per vent’anni e poi aperte con la speranza di portare posti di lavoro, non hanno mai dato la spinta economica che in tanti qui sognavano.

«La povertà da queste parti esiste davvero – spiega il sindaco Pietro Carbini – ci prendiamo cura di trenta nuclei familiari che vivono in situazioni disagiate e per ciascuno cerchiamo di trovare la soluzione migliore con i fondi che abbiamo a disposizione. Siamo molto amareggiati per quello che è accaduto – aggiunge – ma non accettiamo critiche da nessuno». La coppia era seguita dai servizi sociali del Comune, lui veniva impiegato nei lavori socialmente utili e riceveva un assegno di sostentamento, ma nessuno era riuscito a trovare per loro una sistemazione migliore. «Ci avevamo provato – spiega il primo cittadino – ma in questi piccoli paesi a volte si trascinano negli anni pregiudizi, inimicizie e invidie tra famiglie, senza le quali molti problemi troverebbero una soluzione».

Provenienti da due nuclei familiari numerosi, i due avevano deciso di andare a vivere insieme un paio di anni fa. Lui aveva cercato di mettere apposto un vecchio magazzino attiguo a una casa di famiglia contesa tra troppi eredi e rimasta disabitata, lei era andata via dalla casa popolare in cui viveva con i genitori e insieme si erano trasferiti là, in quella casetta umida e senza neanche il bagno. Con le famiglie di provenienza i rapporti erano sempre meno frequenti. Nel centro del paese si vedevano poco. Lei entrava ogni giorno a fare la spesa nel piccolo alimentari del quartiere. «Era riservata – racconta una vicina di casa – nessuno aveva immaginato che aspettasse un bambino. Se lo avessimo sospettato – aggiunge – forse avremmo potuto fare qualcosa».

Sconcerto anche nelle parole di Barbara Cuccureddu, responsabile dei servizi sociali del Comune. «Siamo rattristati per questo drammatico decesso – spiega l’assistente sociale – ma siamo soprattutto arrabbiati per il fatto che nessuno, a iniziare dai diretti interessati, ci abbia informato di questa situazione».

«Se avessimo saputo di questa gravidanza avremmo potuto offrire tutto il sostegno di cui necessitavano lei e il suo compagno – e conclude – in ogni caso cercheremo di dare alla coppia tutto il supporto di cui avranno bisogno». (l.f.)

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