La Nuova Sardegna

Addio a Citti, l’ “Accattone” di Pasolini

Addio a Citti, l’ “Accattone” di Pasolini

L’attore si è spento ieri all’età di ottant’anni, una lunga carriera partita dalle borgate romane

15 gennaio 2016
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ROMA. «Con gli occhi d’angoscia della timidezza e della cattiveria che deriva dalla timidezza, sempre pronto a dibattersi, difendersi, aggredire, per proteggere la sua intima indecisione». Con queste parole Pier Paolo Pasolini, nel 1962, descrive Franco Citti, morto ieri sera nella sua casa romana all’età di ottant’anni. Fu l’ “Accattone” del grande poeta e regista, ma recitò in tantissimi film. Nato a Fiumicino nel 1935, originario delle stesse borgate sottoproletarie che lo scrittore aveva narrato in “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, Citti conobbe Pasolini all’inizio degli anni Cinquanta, quando lo scrittore stava lavorando alla stesura del romanzo che doveva dargli la notorietà (“Ragazzi di vita”, appunto) e frequentava il fratello Sergio, da lui definito «lessico vivente romanesco». Quando Pasolini esordì nel cinema, volle che “Accattone” avesse il volto inquieto e sofferto di Franco Citti. Così il “non attore” divenne l’incarnazione stessa di un’umanità respinta ai margini della «Città di Dio», che, nonostante la degradazione in cui vive, conserva un’inattesa, paradossale, intatta innocenza.

Franco Citti, prima di respirare l’aria del cinema aveva addosso l’odore della calce. Faceva l’imbianchino. Dopo la ribalta del cinema e del teatro si è ritirato a Fiumicino dopo essere stato colto da un ictus. Viveva con la sua pensionetanto che il parlamentare “verde” Angelo Bonelli agli inizi del 2000 denunciava: «È incredibile, Citti è invalido al cento per cento, ma lo Stato gli passa una somma insufficiente e non gli dà l’assegno di accompagnamento».

Franco Citti diventò uno dei volti emblematici dell’intero cinema di Pasolini, incarnando figure inquietanti e maledette – l’ex ruffiano Carmine di “Mamma Roma” (1962), il cannibale di “Porcile” (1969), Ciappelletto de “Il Decameron” (1971) – apparizioni demoniache e magiche – un diavolo dei “Racconti di Canterbury” (1972), il demone orientale de “Il Fiore delle Mille e una notte” (1974) – ma diede anche il suo volto ad un memorabile, barbarico, disperato Edipo in “Edipo Re” (1967).

Il percorso di attore di Franco Citti non si è però limitato al cinema di Pier Paolo Pasolini. Ha recitato in teatro in “Salomé” (1963) per la regia di un grande della scena come Carmelo Bene ed è stato uno dei volti più importanti anche del cinema del fratello Sergio, da “Ostia” (1970) a “Storie scellerate” (1973), da “Casotto” (1977) a “Il minestrone” (1981), da “I magi randagi” (1996) a “Cartoni animati” (1998). Di se stesso ripeteva spesso:«Io recito solo me stesso, come sono al bar e con gli amici. Io non sono un attore».

Diverse le reazioni alla morte dell’attore, a cominciare da quella del ministro dei beni culturali Dario Franceschini: «La scomparsa di Franco Citti è un grave lutto per il cinema italiano. Attore di straordinaria intensità, legato a Pier Paolo Pasolini fin dall’esordio alla regia in “Accattone”, ha segnato una stagione importante della nostra cinematografia. Nel ruolo di Vittorio, così come negli altri film diretti da Pasolini, ha portato quella poesia di strada che rimarrà per sempre uno dei tratti distintivi del nostro cinema». E poi quella del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti: «Il nostro saluto commosso a Franco Citti. Da Pasolini a oggi ha raccontato realtà, sofferenza, cambiamento e riscatto di Roma e di tante generazioni. Ci mancherà».

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