La Nuova Sardegna

Nelle carceri della Sardegna un detenuto su cinque è straniero

di Andrea Massidda
Nelle carceri della Sardegna un detenuto su cinque è straniero

Presentato il rapporto del Dap: nei dieci penitenziari sardi recluse 2mila persone. Problemi di spazio a Mamone, Massama e Tempio. In aumento gli arrivi a Uta

15 gennaio 2016
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SASSARI. Nei dieci penitenziari della Sardegna - da Bancali a Uta, passando per Badu 'e Carros, Massama, Tempio e le altre strutture più piccole - sono recluse in totale 2.036 persone. Un numero, almeno sulla carta, inferiore alla capienza complessiva di 2.724 posti, indicata come regolamentare dal ministero della Giustizia, che ha calcolato la cifra sulla base del criterio di 9 metri quadrati per singolo detenuto, lo stesso parametro per cui in Italia viene concessa l'abitabilità degli appartamenti privati.

Sono soltanto i primi dati che emergono dal più recente rapporto nazionale pubblicato dal Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, aggiornato appena due settimane fa. Ma il documento contiene una mole così imponente di elementi da fornire una fotografia piuttosto nitida dell'universo carcerario isolano. Un'immagine che è fatta di luci e non poche ombre, come confermano anche gli esperti e gli addetti ai lavori. Perché nonostante l'apertura dei nuovi istituti, in certi casi sono rimasti i problemi legati al sovraffollamento, alla alta percentuale di tossicodipendenti e alla carenza di personale, sia per quanto riguarda la polizia sia per quanto riguarda gli educatori. Con alcune lodevoli eccezioni, naturalmente, come nel settore della formazione.

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Popolazione carceraria. Il rapporto del Dap è un vero e proprio censimento della popolazione carceraria italiana. Relativamente alla Sardegna si scopre che i detenuti stranieri sono in tutto 462 (circa il 22 per cento del totale). Le donne sono 43, distribuite tra Sassari, Cagliari e Nuoro. Gli ergastolani sono 174, cui vanno a sommarsi 22 internati e 546 reclusi che - almeno al momento - dovranno scontare una pena superiore ai dieci anni. Appena sessantadue sono invece gli “ospiti” che saranno liberi tra dodici mesi. Poi restano 925 persone la cui pena varia da un anno a dieci anni.

Custodia cautelare. Non passa inosservato il particolare che l'83 per cento dei detenuti (esattamente 1.707) è dietro le sbarre per una condanna definitiva, mentre 149 sono quelli in attesa del giudizio ultimo da parte della magistratura. Un dato tutto sommato incoraggiante. «È innegabile che negli ultimi tempi si faccia sempre meno ricorso alla custodia cautelare in carcere – commenta l'avvocato Elias Vacca –, segno che i giudici stanno tenendo conto degli indirizzi del legislatore: un processo virtuoso ma comprensibilmente lento, visto che si deve fare strada anche nella società».

Sovraffollamento. Chi si occupa dei detenuti fa notare che i dati, così come li presenta il ministero della Giustizia, possono trarre in inganno. «Nel carcere di Uta – spiega Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione “Socialismo, diritti e riforme” –, quando si parla di capienza regolamentare si tiene conto anche dei 92 posti per chi è al 41/bis. Peccato, però, che quei posti non esistano ancora, e che quindi se si fanno bene i conti il sovraffollamento delle celle esista eccome. Tanto è vero che nelle celle, progettate per due letti, ne è stato sistemato un terzo». Spazi troppo stretti si registrano anche a Mamone, Massama e Tempio. Poi, sempre a Uta, desta preoccupazione l'aumento degli arrivi. «I detenuti in poco più di un anno sono passati da 340 a 570 – continua Caligaris –, circa il 60 per cento in più, mentre è rimasto invariato il numero degli agenti e di educatori».

Carenza di organico. Parole confermate anche da Antonio Cannas, vice segretario regionale del Uspp, il sindacato della polizia penitenziaria. «A Bancali è rilevante l'insufficienza di sottufficiali – dice –, di fatto accade che per poter garantire la presenza indispensabile di queste figure professionali nelle dodici sale adibite alle videoconferenze del reparto del 41/bis, la sorveglianza dell’istituto sia demandata agli assistenti capo».

Funzione rieducativa. Ma i penitenziari isolani assolvono davvero alla loro funzione di risocializzare il detenuto? «Le nuove strutture – conclude Caligaris - sembrano rispondere più a una logica contenitiva piuttosto che rieducativa. Basti pensare che sono state edificate lontane da centri abitati, quella di Cagliari in una zona desolata all’interno dell’area industriale. Chi sconta una pena deve poter rientrare nella comunità di appartenenza in modo da non commettere più il reato. Ciò avviene raramente. Si può quindi affermare che il sistema non è adeguato e spesso produce disabili sociali che entrano ed escono dal penitenziario. E uno spreco di risorse che uno Stato non può permettersi».

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