La Nuova Sardegna

Sangue infetto, nessun risarcimento per i pazienti sardi contagiati

di Salvatore Santoni
Sangue infetto, nessun risarcimento per i pazienti sardi contagiati

Giovedì 14 gennaio la sentenza della Corte per i diritti umani: respinti i ricorsi dei malati isolani Ma le associazioni dei talassemici non si arrendono: andremo avanti con le cause

15 gennaio 2016
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SASSARI. Alcuni avevano bisogno di sangue per un intervento chirurgico, altri, come i talassemici, erano già afflitti da patologie che necessitano di trasfusioni continue. Erano gli anni Ottanta, di chi arrivava negli ospedali dell’isola per ricevere sangue fresco ma non sapeva dei virus che gli venivano iniettati nelle vene. Poi, quando a distanza di mesi in centinaia hanno scoperto di essere positivi ad Aids, epatite B e C, sono diventate loro le vittime del sangue infetto. Oggi in Sardegna se ne contano oltre 500 ancora in vita.Chi ha potuto, ha portato lo Stato in tribunale. Chi è sopravvissuto – dopo trent’anni di calvario - è ancora impantanato nelle cause. Ieri ai malati sardi la Corte per i diritti umani di Strasburgo ha detto no a un risarcimento. Ad altri 371 pazienti italiani ha detto sì: 25mila euro una tantum.

Il contesto. Quelli a cavallo tra gli ’80 e i ’90 sono stati gli anni d’oro dell’infezione di Stato, quando le sacche di sangue giravano a colpi di mazzette – c’era Tangentopoli - e il Servizio sanitario nazionale non si curava di controllare i soggetti a rischio.

Politrasfusi. I soggetti più colpiti in quegli anni sono stati i politrasfusi, quelle persone che avendo necessità di trasfusioni continue, hanno avuto molte più possibilità di incappare in sangue infetto. C’era anche chi finiva in ospedale per un banale intervento, che poi richiedeva una dose di sangue extra: infettati anche loro.

L’odissea giudiziaria. Le cause civili vanno avanti da decenni. Il tentativo è ridare dignità a vittime di uno Stato che ha creato una generazione di malati con un contagio di massa legalizzato (80mila in Italia secondo l’associazione politrasfusi italiani). In campo da una parte i malati che vedono i loro giorni sulla Terra rosicchiati dal virus; dall’altra lo Stato, con il suo apparato burocratico dai tempi messicani e le sue mille trappole legislative. Le associazioni dei talassemici sardi hanno avviato una serie di cause civili contro lo Stato fin dal 2000. Dopo aver superato con successo i primi due gradi di giudizio, poco prima del passaggio in Cassazione è arrivata la proposta del ministero della Salute. «Si parlava di transazioni e il confronto andava bene – spiega Ivano Argiolas –. Abbiamo anche incontrato il ministro Balduzzi e proprio nelle settimane in cui si stilava una bozza di accordo, è arrivato un decreto nel 2012 con nuove regole che tagliavano fuori la maggioranza dei potenziali malati: non era una cosa fattibile».

Oggi. Salta la transazione e si arriva a giorni nostri, con il governo di Matteo Renzi che ha disposto quella che viene chiamata un’equa riparazione per chiudere la vicenda, mettendoci sopra una serie di pietruzze di 100mila euro. Tra i 500 pazienti sardi sono in tanti ad aver accettato l’accordo. Altri, invece, hanno deciso di andare avanti con le cause civili, convinti che la loro vita valga molto di più. E altri ancora si sono rivolti a Strasburgo nel tentativo di ottenere dal Tribunale dei diritti umani, un trattamento più dignitoso rispetto alle aule di giustizia italiane.

La sentenza. L’oggetto del pronunciamento non è nel merito del caso sangue infetto, ma sul diritto al giusto processo. In sintesi, la Corte ha accolto soltanto una parte degli 889 ricorsi piovuti da ogni parte d’Italia: oltre 450 sono stati respinti e 58 sono ancora pendenti. Per quanto riguarda i ricorsi accolti, sono stati disposti risarcimenti – alle persone contagiate o i loro eredi - con importi individuali compresi fra i 20 mila e i 30 mila euro.

I sardi. Nove i ricorsi presentati da pazienti sardi. La maggior parte sono distribuiti tra Cagliari e Siliqua. Gli altri tra Sassari, Olbia, Thiesi e Bono. Molte le richieste pendenti non ancora esaminate, e alcuni preavvisi di rigetto.

Giustizia negata. «Ho visto i primi dati della sentenza, e c’è da dire che i 25/30mila sono cifre ridicole», riprende il presidente di Thalassa Azione, che aggiunge: «ora vedremo di appronfondire i dettagli insieme agli avvocati. Di certo non ci arrenderemo».

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