La Nuova Sardegna

Dal Gambia a Tissi: una vita in fuga

Dal Gambia a Tissi: una vita in fuga

Peter ha raggiunto via Tripoli l’isola, dove ora vende collanine e gioca a pallone

01 febbraio 2016
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. I centri di accoglienza sono microcosmi costellati di disagio, terrore e spesso anche morte. Come quelli che si è visto passare davanti più volte un giovane gambiano di 19 anni ospite all’ex Caravel di Predda Niedda.

Peter (lo chiameremo così) ha gli occhi neri come la pece e un vuoto da riempire. I genitori sono morti in circostanze tragiche quando era ancora un bambino. Prima di scappare dal Gambia ha vissuto con gli zii, che però lo riempivano di botte. E così un giorno – nel 2011, quando era ancora minorenne – ha deciso di ribellarsi. E subito dopo ha dovuto fare i bagagli. «Sono rimasto per strada una settimana – racconta il ragazzo – poi un amico lo ha ospitato a casa sua per circa un mese. Con loro stavo bene ma il mio amico spacciava droga». Poi un giorno, in piena notte, i timori si sono materializzati. «Stavo leggendo un libro – continua – e la polizia ha fatto irruzione in casa. Hanno perquisito tutto». I poliziotti hanno trovato la borsa e il pacco di marijuana che custodiva; hanno portato Peter in commissariato per metterlo sotto torchio. «Sono stato picchiato per due giorni di fila – riprende il ragazzo – perché volevano sapere della borsa, ma io non avevo fatto nulla». Al terzo giorno ci si è messa di mezzo la divina provvidenza: un poliziotto l’ha liberato e gli ha messo in mano l’equivalente di circa 7 euro in moneta locale (il dalasi gambiano) dicendogli una sola parola: «scappa». Peter si è precipitato a prendere un taxi per farsi portare a Banjul, la capitale della Gambia. Da lì si è imbarcato su una barca per Barra, sulla sponda opposta del fiume Gambia, che si incunea nel cuore dell’omonimo stato. Ha pagato un autista per farsi portare alla frontiera con il Senegal. Una volta arrivato ha cercato di capire che fine aveva fatto l’ amico: «Al telefono la madre mi ha detto che la polizia cercava entrambi. Ma lui era già in Senegal». Peter si è messo in viaggio e lo ha raggiunto. «Mi ha chiesto di perdonarlo – continua – ci siamo trattenuti qualche settimana perché avevo bisogno di curare le ferite causate dai poliziotti in Gambia». I due si sono spostati a Sabha, in Libia, dove hanno avuto problemi con alcuni criminali locali: l’amico è stato ucciso durante un agguato. A quel punto Peter ha puntato la bussola a Nord, in direzione Tripoli, da dove è riuscito a imbarcarsi per l’Italia e dove è sbarcato a settembre.

«Ho paura che mi possano mettere in carcere accusandomi di spaccio, perché la polizia locale non mi ha creduto. Non voglio che mi facciano ancora del male», ha detto alla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

E ora che fai? «Sto vendendo collanine e calze per fare qualche spicciolo. E poi gioco a pallone a Tissi: mi trovo davvero bene qua», dice sorridendo. Proprio sabato scorso la squadra ha portato a casa un sofferto 3 a 2 contro il Florinas. E Peter c’ha messo la firma siglando il gol decisivo. (s.s.)

In Primo Piano
Il rapporto Bes

Classifica del benessere economico-sociale: la Sardegna resta indietro

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative