La Nuova Sardegna

La Procura: Stefano sequestrato e ucciso

di Nadia Cossu
La Procura: Stefano sequestrato e ucciso

I reati su cui si sta indagando legano l’omicidio di Orune e la fine di Masala Un minore è al centro dell’inchiesta con due vittime. Il giallo dell’auto

11 febbraio 2016
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SASSARI. Le nuove contestazioni della Procura dei minori di Sassari a carico del diciassettenne di Nule sospettato di aver ucciso il suo compaesano Stefano Masala e Gianluca Monni di Orune, tracciano una dinamica dei fatti di maggio del 2015 molto lineare, che sembra lasciare poco spazio a perplessità investigative.

C’è un giovane di 29 anni, nel paese del Goceano, che da nove mesi ha fatto perdere le sue tracce. E c’è un giovanissimo, nello stesso comune, sospettato di averlo ucciso, di averne nascosto il corpo e di aver incendiato la sua macchina. Ecco perché, oltre all’omicidio, gli vengono contestati il sequestro di persona, l’occultamento di cadavere e il danneggiamento.

Per scandagliare queste accuse bisogna ripercorrere i due fatti di cronaca che – come ormai assodato – sono inequivocabilmente legati tra loro: la scomparsa di Stefano Masala il 7 maggio del 2015, e l’omicidio di Gianluca Monni, il giorno successivo. Per quest’ultimo delitto ci sono già due indagati. Uno è lo stesso 17enne, l’altro è suo cugino di 25 anni, estraneo invece a questa ultima inchiesta sulla scomparsa e la morte di Stefano.

Il sequestro di persona. Seguendo la linea della Procura dei minori (titolare del fascicolo è il sostituto Roberta Pischedda) si parte inevitabilmente dalla sparizione del 29enne di Nule. Considerato che gli atti dell’inchiesta sono coperti da segreto, che nulla trapela dalle forze dell’ordine e che l’avvocato Agostinangelo Marras (difensore del minore) non ha ancora avuto modo di consultare gli atti, è possibile solo fare delle ipotesi sulla base di quanto accaduto finora. Stefano, l’amico di tutti disponibile con tutti, quel giorno è stato attirato in una trappola. Forse era persino convinto di andare a un appuntamento con una ragazza. Aveva preso la macchina di suo padre Marco, una Opel Corsa grigia tirata a lucido, e dopo aver fatto una breve tappa in uno dei bar del paese, era andato via di corsa, ma col sorriso sulle labbra. «Ho un appuntamento, vado di fretta», aveva detto all’amico barista Giampiero. Un’ora più tardi il suo cellulare già non rispondeva più. All’appuntamento in realtà non si sarebbe presentata una donna ma forse solo il 17enne. La macchina di Stefano serviva probabilmente per raggiungere il giorno successivo Orune e si doveva nascondere da qualche parte (da qui il sequestro di persona) quell’amico che era diventato un intralcio. Sempre ragionando per ipotesi, non è detto che l’intenzione iniziale fosse quella di ammazzarlo. La situazione potrebbe esser sfuggita di mano in una fase successiva.

L’omicidio. Di sicuro Stefano Masala è stato usato per raggiungere uno scopo preciso. E quando chi gli ha teso la trappola si è reso conto che quell’amicone, buono e con un altissimo senso della giustizia, era diventato scomodo, potrebbe aver deciso di liberarsene.

L’occultamento di cadavere. Il corpo di Stefano non lo si trova da nessuna parte. Lo hanno cercato ovunque anche con il supporto dei cani molecolari. Sembra essere sparito nel nulla. Ed ecco l’altra accusa nei confronti del minorenne di Nule: aver nascosto il corpo della vittima. C’è chi ogni giorno continua ad aspettare che Stefano torni a casa. Sono i familiari che con le poche forze rimaste continuano ad alimentare la speranza, «a tenere acceso un lumicino», per usare le loro parole. Quella che per il mondo esterno è una piccola fiamma, per i genitori e i fratelli di Stefano è invece la più accecante delle luci. Perché, nel momento di grande sofferenza che stanno vivendo, hanno bisogno di aggrapparsi a una certezza: «Stefano dobbiamo riportarlo a casa, a tutti i costi».

Il danneggiamento. Questa ipotesi di reato è direttamente legata al delitto di Orune. La macchina con la quale l’assassino – o gli assassini – di Gianluca Monni hanno raggiunto il paese della Barbagia è l’Opel Corsa di Marco Masala. Spesso capitava che la usasse il figlio Stefano, gli amici gli chiedevano dei favori e lui per accontentarli si spostava anche nei paesi vicini se necessario. Lo faceva anche solo per comprar loro un pacchetto di sigarette. Sempre a disposizione: «Ci vuole coraggio – ha detto in lacrime il padre due giorni fa – a fare del male a Stefano. Nemmeno uno schiaffo gli si potrebbe dare». Purtroppo, però, quello che gli inquirenti sono convinti possa essergli accaduto è qualcosa di molto più grave.

Il maggiorenne. In questa seconda inchiesta non comparirebbe al momento il cugino 25enne (indagato solo per il delitto Monni) del ragazzino di Nule. Di lui, assistito dall’avvocato Mattia Doneddu, si occupa la Procura della Repubblica di Nuoro (titolare il pm Andrea Vacca, ma il caso è seguito in prima persona anche dal procuratore Andrea Garau). Potrebbe aver avuto un ruolo secondario nella sparizione e morte di Stefano Masala? Potrebbe esser entrato in scena solo al momento della distruzione dell’auto? Ipotesi, ancora una volta, in attesa di riscontri.

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