La Nuova Sardegna

«I canti sardi salvati dall’oblio tornino a casa»

di Maria Grazia Marilotti
«I canti sardi salvati dall’oblio tornino a casa»

Un’appello alla Regione perché la raccolta custodita a Santa Cecilia sia trasferita in Sardegna

23 febbraio 2016
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CAGLIARI. «I canti della Sardegna devono tornare a casa». L'appello giunge da tre studiosi di cultura sarda, Sebastiano Mariani, Andrea Deplano e Gesuino Gregu. Il riferimento è ai 162 tra canti a tenore, attitos, ninna nanne e poesie registrate nel 1955 a Mamoiada, Fonni, Orgosolo, Orune e Nuoro dall’etnologo ed etnomusicologo Diego Carpitella e dall’antropologo Franco Cagnetta, quest’ultimo autore del saggio «Banditi a Orgosolo» a cui si è ispirato l’omonimo film di Vittorio De Seta premiato a Venezia. Materiale rarissimo, da 60 anni è custodito negli archivi dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma, classificato come «Raccolta 26». Un intricato ginepraio di canti e musiche dei centri dell'entroterra nuorese, per il quale, grazie al contributo dei tre esperti, si è potuto dare nome e provenienza a voce, canti e suoni e ricostruirne la tracciabilità.

Alla «Raccolta 26» aveva già dedicato un lungo e complesso lavoro di catalogazione Walter Brunetto, curatore del catalogo degli Archivi di etnomusicologia di Santa Cecilia, ma la complessità degli idiomi dei singoli paesi e la grande varietà dei moduli musicali impedivano di avere certezza dei singoli dati trascritti o rilevati. Le carenze della documentazione e delle schede di campo rendevano ancora più arduo il compito.

Grazie alla personale iniziativa dei tre studiosi e alla disponibilità della direttrice della sezione di Etnomusicologia dell'Accademia, che ha concesso il materiale, è stata avviata una collaborazione che ha permesso di definire paese di appartenenza, tipologia dei moduli di canto, nomi degli interpreti di queste 162 registrazioni. Una riscoperta importante per la storia della Sardegna ma anche per il mondo intero, perché il canto a tenore è un bene intangibile tutelato dall’Unesco. Ora, a lavoro concluso, i tre si rivolgono a Regione e Istituto superiore regionale etnografico (Isre).

«I canti sardi devono essere restituiti alla terra di origine e attraverso i necessari accordi e convenzioni con Santa Cecilia, resi accessibili alla fruizione, rendendoli disponibili come materiale per convegni e studi – spiega Sebastiano Mariani – Questo appello lo avevamo già fatto a due assessori regionali, Baire e Firino, e all’Isre, ma è caduto nel vuoto. Ora lo rilanciamo».

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