La Nuova Sardegna

Isola controcorrente: in Italia i Comuni si associano per tagliare i costi, in Sardegna no

di Alessandro Pirina
Una veduta di Gavoi
Una veduta di Gavoi

La crisi ha spinto molti centri del Belpaese ad associarsi per ridurre le spese. In Sardegna nessuna richiesta. E Porto Conte vuole separarsi da Alghero

07 marzo 2016
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SASSARI. La spending review abbatte i campanili. Dall’Emilia Romagna alla Toscana, dalla Campania alla Lombardia, sono sempre più i comuni che decidono di fondersi. Un’abdicazione della propria identità dettata dalla necessità di assicurare i servizi ai cittadini, sempre più a rischio a causa dei tagli agli enti locali. Un trend che però non ha contagiato la Sardegna. Anzi. Nell’isola non solo non c’è nessuna fusione all’ordine del giorno, ma ci sono frazioni che vorrebbero affrancarsi dalla casa madre. È il caso di Porto Conte, che sta portando avanti tutte le procedure per separarsi da Alghero e ottenere l’autonomia. L’isola, dunque, guarda con molto sospetto a quello che sta accadendo oltre Tirreno, dove comuni storici che non riuscivano a far quadrare le voci di bilancio - da Ligonchio a Montecatini Terme, da Cupra Marittima fino a Nocera non più divisa in Superiore e Inferiore - hanno ammainato la loro bandiera in nome della spending review.

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L’Anci dice no. «Si vuole far credere che la tendenza sia quella delle fusioni, ma in realtà i casi sono pochi e marginali». Pier Sandro Scano, presidente Anci Sardegna, boccia la politica dei matrimoni d’interesse. «C’è una parte minoritaria della politica che vorrebbe un maggiore ricorso alle fusioni. E più o meno quella era anche la linea della legge Delrio, che aveva messo sullo stesso piano unioni e fusioni. Una linea che fortunatamente è fallita. Siamo davanti a pochissimi casi».

I numeri. Ma se nel 2011 in Italia si registrò una sola fusione, tre anni dopo sono state ben 26. E nel 2016 - e siamo appena a marzo - sono già 27 i nuovi enti nati dallo scioglimento di vecchi comuni. Numeri al netto della Sardegna, dove la voce fusione non viene contemplata. «Non contesto chi si vuole fondere, anche perché si tratta di situazioni molto diverse dalle nostre – dice ancora Scano –, ma so che in Sardegna la cosa non ci riguarda. La fusione è solo una scorciatoia perché mette insieme più soggetti sopprimendone nel contempo l’identità».

Meglio l’unione. Per Scano il futuro dei comuni sardi è l’unione. Uno strumento che permette di salvaguardare i campanili all’insegna della spending review. «È la via maestra – sostiene il presidente dell’Anci, nonché sindaco di Villamar –. È l’unico modo per far cooperare i comuni. Li mette insieme, ma allo stesso tempo permette loro di conservare nome, sindaco, consiglio, bandiera».

Comuni piccoli. In Sardegna i comuni sono 377. Di questi 120 contano meno di mille abitanti. Con Baradili sotto quota 100. E proprio contro i piccoli comuni nelle scorse settimane è stata presentata alla Camera una proposta di legge targata Pd, primo firmatario il deputato Emanuele Lodolini, che propone di accorpare tutti i comuni al di sotto dei 5mila abitanti. In Sardegna da questa mannaia se ne salverebbero solo 63 su 377. «Un disegno di legge che ha zero possibilità di diventare legge – lo stronca Scano –. Una proposta folle e strampalata presentata probabilmente da una ventina di deputati solo per avere più visibilità».

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Le funzioni associate. Tra l’altro, proprio in queste settimane, è in via di definizione l’accordo tra Anci e governo sulla gestione associata delle funzioni dei comuni. In realtà, esisteva già l’obbligo per i comuni sotto i 5mila abitanti di unire le loro competenze entro la fine del 2015, ma il termine è stato prorogato al 31 dicembre 2016. «Il governo ha convenuto con noi che la normativa non ha facilitato la gestione associata, anzi l’ha proprio impedita – spiega Scano –. Per questo si è dato un altro anno di tempo perché il tema necessita una nuova normativa».

L’accordo. Un lavoro che è arrivato quasi al termine. Con due importanti novità rispetto al passato. Innanzitutto, l’obbligo di associarsi non riguarderà più solo i centri al di sotto dei 5mila abitanti, ma tutti i comuni, escluse le città metropolitane. «Finalmente si è capito che l’associazionismo non è uno strumento che riguarda solo i piccoli centri. Tanto che anche la Regione, con la riforma Erriu, incentrata sulle Unioni dei comuni, si è incanalata su questi binari».

Le competenze. La seconda novità riguarda le funzioni associate, ovvero da condividere tra più comuni. La prima bozza Delrio indicava 10 funzioni fondamentali da sottrarre alla autonomia dei singoli comuni. Il tavolo tra governo e Anci sta lavorando alla loro riduzione e al loro riordino. Si parla di un numero tra 3 e 5. E dunque del trasferimento di protezione civile, catasto e programmazione territoriale dal singolo ente all’unione. «È questa la via maestra – ribadisce Scano –, finalmente lo hanno capito anche a Roma».

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