La Nuova Sardegna

Progettavano altre rapine

di Pier Luigi Piredda
Progettavano altre rapine

La banda sapeva di essere controllata, ma non rinunciava ai suoi affari

21 marzo 2016
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NUORO. «Il cane nuorese e i sassaresi ci stanno addosso, ci stanno seguendo, ci conoscono. Mi raccomando niente errori». Parole pronunciate dal capo della banda durante una riunione del gruppo ristretto che organizzava le rapine, faceva i sopralluoghi, sceglieva gli uomini da utilizzare ed entrava in azione soltanto quando tutto era stato pianificato nei minimi dettagli. Parole rubate da un’intercettazione ambientale nell’ovile di Sanna, a Florinas, uno dei due covi nei quali s’incontravano i vertici della banda. L’altro luogo di appuntamento era dall’altra parte della Sardegna, in un paesino nel cuore dell’Ogliastra: Villagrande. Nella casa del presunto capo: Giovanni Olianas, 43 anni, forestale per professione, vicesindaco del paese e consigliere della defunta Provincia Ogliastra. Con lui quel giorno a Florinas c’erano il padrone dell’ovile, Salvatore “Toreddu” Sanna, 38 anni di Orune, i due cugini Arzu di Talana: Luca, 43 anni, fratello dell’ex primula rossa Raffaele (condannato all’ergastolo per un assalto a un furgone portavalori in Umbria concluso con la morte di un carabiniere) e Sergio, 35 anni. Angelo Lostia, 43 anni, di Olzai ma residente a Budoni nella frazione di Tanaunella, Pietro Mereu, 44 anni di Nuoro e residente a Mores, Mario Pirari, 49 anni, di Nuoro (uscito di recente dal carcere dopo aver scontato una lunga pena per l’omicidio di Mauro Lostia in un bar nel centro di Nuoro nel 1984), Giovanni Pirisi, 45 anni, di Sarule.

Sapevano di avere il fiato sul collo, ma non hanno mai manifestato l’intenzione di chiudere la “ditta”, come la chiamavano loro. Progettavano ancora rapine in ogni angolo della Sardegna. Facevano ricognizioni, sopralluoghi, cercavano fiancheggiatori nelle zone di maggiore interesse, rubavano auto, fuoristrada, camion e ruspe da tutte le parti. Cercavano anche nemici dopo i fallimenti di una serie di rapine, in particolare quella al caveau della Mondialpol di Arzachena: «A tradirci sono stati quelli dell’altra ditta, magari c’è qualcuno che sta facendo il doppio gioco, forse c’è qualcuno dei nostri incazzato perché non l’abbiano coinvolto e si è venduto la nostra operazione». L’altra “ditta”: le altre pericolose bande modulari, probabilmente formate anche da elementi di questa organizzazione e da quei fiancheggiatori utilizzati di meno negli assalti e alla disperata ricerca di guadagni facili, dopo aver visto la lussuosa vita dei “compari” più spregiudicati e la loro enorme disponibilità di denaro.

Temevano il “cane nuorese” (l’ex dirigente della questura Fabrizio Mustaro, adesso a Trapani, ma grande tessitore di questa indagine) e gli agenti delle squadre mobili di Nuoro e Sassari che li conoscevano bene e quindi li evitavano con grande attenzione. Ma nel loro delirio di onnipotenza non hanno mai pensato che fossero stati proprio gli agenti delle due squadre mobili (e da un certo punto anche quelli di Cagliari) a far saltare gli assalti ai blindati sulla strada per Olbia, tra Ardara e Siligo, per ben due volte, a Barbusi, alla periferia di Carbonia e al caveau della Mondialpol di Arzachena, da dove in fretta e furia e con una scorta imponente erano stati spostati verso lidi più sicuri oltre 20 milioni di euro.

Erano troppo sicuri del fatto loro, Olianas e compari, visto che tra il loro armamentario, oltre a fucili d’assalto e giubbotti antiproiettili, avevano anche sofisticate apparecchiature per intercettare le comunicazioni della polizia e scoprire la presenza di microspie, ma che forse non sapevano utilizzare visto che a incastrare la banda sono state soprattutto le intercettazioni ambientali e telefoniche.

Dopo il colpo a Campeda, che aveva fruttato alla banda un bottino superiore ai 500mila euro, dalle intercettazioni traspare l’amarezza per il fatto che le banconote erano state macchiate perché durante il prelievo dal blindato era scattata l’apparecchiatura antirapina. E allora ecco emergere le motoseghe. Potenti. Che addirittura alcuni di loro avevano provato su un furgone, rigorosamente rubato, in uno dei covi della banda, concludendo la prova soddisfatti.

Ma qualcuno della banda, meno esperto ma desideroso di mettersi in mostra con i capi, non aveva esitato a proporre anche l’utilizzo di un lanciarazzi. A conferma della facilità con la quale i rapinatori potevano rifornirsi di armi, delle quali non è ancora stata trovata traccia. Ma la proposta dell’inesperto rapinatore era stata bloccata sul nascere dal capo della banda: «No, non è troppo potente, si gira tutto il blindato».

Soltanto nell’ultimo periodo, dopo la serie continua di fallimenti, nonostante le minuziose pianificazioni dei colpi, i capi avevano cominciato a pensare alternative alla loro vita in Sardegna. «Facciamo il colpo a Voghera e poi via, nomi falsi e ognuno per la sua strada» avevano detto in una delle ultime riunioni. Qualche giorno dopo, i cugini Luca e Sergio Arzu e Angelo Lostia erano spariti dai radar della polizia. Svaniti nel nulla. Ma ormai gli investigatori avevano tutti gli elementi per sapere dove andare a cercarli e sono andati ad aspettarli. Raggiunta Genova via mare, i tre all’arrivo avevano trovato due amici sardi (denunciati per favoreggiamento) che vivono e lavorano nelle campagne di San Nazzaro, tra Pavia e Voghera, e che gli avevano trovato un alloggio temporaneo in un paesino vicino: Zinasco. I cugini Arzu e Lostia erano le avanguardie: avrebbero dovuto definire i dettagli dell’assalto e inviare il segnale di via libera a Villagrande. Giovanni Olianas e gli altri si stavano preparando a partire e sono andati a dormire tranquilli venerdì notte quando non hanno ricevuto indicazioni sulla partenza. Non potevano sapere che gli agenti delle squadre mobili di Cagliari e Nuoro, insieme ai colleghi di Pavia e Voghera, avevano già fatto partire la gigantesca operazione orchestrata dalla procura della Dda di Cagliari che, nel corso della notte, ha sgominato la pericolosa banda di rapinatori.

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