La Nuova Sardegna

Maxi furto alla principessa giallo vicino alla soluzione

di Giampiero Cocco
Maxi furto alla principessa giallo vicino alla soluzione

Sospetti su una banda di nomadi arrestata in Toscana e molto attiva nell’isola Alla nobile araba furono portati via dall’hotel Colonna gioielli per 10 milioni

02 aprile 2016
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PORTO CERVO. La banda di ladri fermata ieri l’altro dalla magistratura di Grosseto nel blitz che ha portato in carcere nonni, padri, figli e nipoti, una decina di persone appartenenti al gruppo familiare di etnia sinti degli Alasia e Cavazza aveva, come territorio d’azione preferito, la Costa Smeralda. Le loro scorribande in Costa risalgono ai primi anni del Duemila e sono proseguite sino ai giorni nostri. Tra i furti più clamorosi messi a segno dalla gang pendolare a conduzione familiare degli Alasia ci fu il mega furto (bottino 600 mila euro) nell’estate del 2003 a Porto Cervo, ad un sottosegretario del primo governo Berlusconi. E, nel 2009, la clamorosa irruzione all’Hotel Colonna di Porto Cervo (attribuita ma mai contestata formalmente al gruppo familiare) quando venne portata via la cassaforte della suite presidenziale che conteneva 10 milioni in gioielli appartenenti ad una principessa araba. Buona parte di gioielli vennero “ritrovati” dai servizi segreti italiani su una nave passeggeri diretta a Barcellona.

Nel 2004 finirono in carcere, accusati di far parte della banda del Black&deker (per l’utilizzo di mole smeriglio della nota marca di utensili da lavoro – i fratelli Paolo, 49 anni, Orlando di 20 e Mariolino Alasia di 22, gli stessi arrestati ieri l’altro a Grosseto. I tre (che erano assisti all’epoca dai penalisti Mario Perticarà e Domanico Putzolu) furono indagati e condannati per la razzia nella villa smeraldina del sottosegretario alle partecipazioni statali Paolo Mammola, al quale avevano rubato gioielli e danaro contante per 600 mila euro. Il bottino l'avevano scovato i carabinieri, armati di metal detector, nel terreno attorno ai lussuosi motorhome parcheggiati alla periferia di Grosseto, sulla Aurelia. Chiusi in barattoli di vetro ermeticamente sigillati c'erano oltre sette chili d'oro e una ventina di orologi di marca, tra i quali molti Rolex. Un milione di euro di bottino racimolato nella razzie che la banda aveva compiuto, allora come negli anni scorsi, in diverse zone dell'isola, con particolare predilezione per le ville della Costa Smeralda, Palau e Santa Teresa di Gallura. Nelle irruzioni recenti compiute dalla banda di ladri sinti sono finite nel mirino di due attrici russe – Polina e Zhanna Krylova – alle quali vennero rubati (agosto 2013) dalla loro villa nella marina di Porto Cervo gioielli e pietre preziose per mezzo milione di euro. Ma la banda, che utilizzava per i furti anche le donne e i ragazzini della famiglia, non disdegnarono di ripulire l’abitazione di un impresario di San Teodoro portandogli via oltre 50 mila euro di valori, mentre si trovarono in difficoltà nel tentare di scassinare la casa, alla periferia di Olbia, del comandante della polizia stradale. A mettere in fuga le due nomadi che cercavano di forzare una finestra fu l’improvviso rientro a casa della moglie del dirigente della polizia di Stato. Ladri sì, ma non violenti.

Nelle incursione isolane la banda sinti aveva racimolato, oltre ad un ingente bottino valutato dagli inquirenti oltre due milioni di euro, anche una serie di armi (pistole, coltelli a serramanico e fucili) che sono state sotterrate nell’area adiacente alle loro villette – tutte abusive, dalle fondamenta al tetto, ha scritto nell’ordinanza il gip del tribunale di Grosseto Valeria Montesarco – , senza mai essere utilizzate o cedute ad altre bande crimonali. E come per i cugini romani Casamonica, anche per gli Alasia le auto di lusso, gioielli e le mise firmate per grandi e piccini erano il simboli per mostrare il loro potere su un territorio che va da Punta Ala a Civitavecchia. I conti, in ristoranti e bar, gli Alasia li pagavano regolarmente in contanti. Per la spesa, invece, c’era il “ciurlo” collettivo, ovvero il furto con destrezza messo a segna dalle donne che, per agire, smettevano di vestire Ferragamo e Cavalli e indossavano le vecchie e ampie gonne gitane dove nascondere la mercanzia.

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