La Nuova Sardegna

L’isola in fondo alla classifica delle Dop

di Dario Budroni ; di Dario Budroni
L’isola in fondo alla classifica delle Dop

Sono solo sette i prodotti con il marchio di qualità dell’Ue. La Coldiretti: «Incentivare l’utilizzo delle nostre materie prime»

03 aprile 2016
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. L’agnello sardo Igp fa la parte del leone. Da solo riesce a tenere testa agli ovini di tutta Italia.In fondo la Sardegna è sempre la terra delle due pecore per abitante. E a dimostrarlo ci sono anche i formaggi. Nella lista dei prodotti Dop figurano infatti il Fiore sardo, il Pecorino sardo e quello romano. Poi ci sono l’olio extravergine, il carciofo spinoso e lo zafferano. E basta. I prodotti Dop e Ipg, riconosciuti dall’Unione europea in base al legame tra eccellenza e territorio, in Sardegna sono appena sette. Nella classifica delle regioni italiane l’isola si piazza così al sedicesimo posto, praticamente in zona retrocessione, sopra il Molise e dietro l’Umbria. Lontanissima dai primi posti occupati da Emilia-Romagna e Veneto, rispettivamente prima e seconda con 41 e 36 prodotti agroalimentari con marchio di qualità. Un quadro che dimostra che la Sardegna, nonostante abbia i numeri per competere con le altre regioni celebri per i loro prodotti, ha ancora tanto da migliorare.

Terra di produttori. L’Istat ha appena pubblicato il rapporto annuale sulle certificazioni di qualità. E tuttavia la Sardegna, per quanto riguarda i marchi Dop e Igp, risulta comunque la regione con il più alto numero di produttori. Sono ben14.265 quelli registrati nel 2014, cioè il 19 per cento dei produttori di tutta Italia. Anche gli allevamenti sono concentrati soprattutto in Sardegna, esattamente il 34,8 per cento della media nazionale. Dati che dimostrano quanto sia ancora importante per l’economia sarda il settore legato agli allevamenti e al lavoro della terra. L’indagine Istat, inoltre, indica il forte aumento del numero degli impianti di trasformazione: 252 quelli contati nel 2014, il più 19 per cento rispetto al 2013.

Agnello superstar. L’agnello sardo vanta il marchio Igp da una decina di anni e, considerando il settore delle carni fresche, non ha eguali nel resto d’Italia. Sono 3.991 i produttori che operano nella filiera e 39 i trasformatori. Quasi mezzo milione gli ovini allevati solo per la carne da macello. Solamente i numeri del Vitellone bianco dell’Appennino si avvicinano a quelli del vitello sardo. Staccato l’abbacchio romano, con soli 689 produttori.

Pecorino da competizione. Anche il settore formaggi dimostra tutta la sua forza. Qui i produttori sono 10.183, 154 i trasformatori e 10.294 gli operatori. Nel dettaglio, al primo posto c’è il settore del pecorino romano (con Toscana e Lazio): 9.602 produttori. Poi il comparto del pecorino sardo (5.835 produttori) e quello del Fiore sardo (308).

Prodotti della terra. Anche il carciofo è uno dei prodotti simbolo dell’isola. I numeri sono ovviamente più contenuti rispetto a quelli di agnelli e formaggi: 48 produttori, 456 ettari occupati, 14 trasformatori e 62 operatori. Numeri simili anche per l’olio extravergine Sardegna. In questo caso i produttori sono 33 e 640 gli ettari occupati dagli uliveti, 35 i trasformatori e 54 gli operatori. Infine lo zafferano di Sardegna. Un altro prodotto Dop molto ricercato ma meno popolare degli altri. In questo caso i produttori sono 10, mentre gli ettari 2,65.

Più attenti al locale. Laddove è riuscita a ottenere un marchio Igp o Dop la Sardegna ha pochi eguali. Però gli addetti ai lavori sanno benissimo che l’isola ha tutte le carte in regola per ricevere un numero maggiore di riconoscimenti. «Sì, ritengo che ci sia ancora molto da lavorare – commenta Battista Cualbu, presidente della Coldiretti Sardegna –. E penso che la strada giusta sia la salvaguardia della produzione locale. Serve rispetto per chi trasforma, ma anche per chi produce. I prodotti della nostra terra devono essere preparati con materie prime rigorosamente sarde. In altre parole, la Sardegna deve imparare a vendere prodotti e non solo ricette». Battista Cualbu, che è anche il presidente del consorzio di tutela dell’agnello sardo, fa poi qualche esempio. «Tempo fa, come Coldiretti, ci siamo opposti alla disciplinare di produzione per l’ottenimento del marchio Igp per i Culurgiones – spiega –. E questo perché nella disciplinare non era prevista la provenienza delle materie prime. Il rischio è che vengano utilizzati ingredienti non sardi». Una consuetudine che è parecchio diffusa nell’isola. «Pensiamo anche al pane Carasau: gran parte del grano che viene utilizzato non è di certo prodotto nell’isola – dice Cualbu –. E il torrone di Tonara? Spesso le mandorle e le uova provengono da altre regioni». Secondo Cualbu, dunque, per innalzare il livello della qualità dei prodotti sardi è indispensabile una maggiore cooperazione tra chi produce e chi trasforma. «Serve fare sistema. E la politica deve fare in modo di sostenere la produzione locale. Mancano le mandorle per il torrone? Allora che si incrementino i mandorleti».

La classifica

Parlamentari “assenteisti”, nella top 15 ci sono i sardi Meloni, Licheri e Cappellacci

di Salvatore Santoni
Le nostre iniziative