La Nuova Sardegna

Appalti truccati, 17 arresti

di Enrico Carta

Sindacopoli bis: in cella il consigliere regionale Peru (FI) e l’ex Stochino

06 aprile 2016
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ORISTANO. Il secondo passo porta ancora più in alto. Non solo sindaci di piccoli paesi, funzionari pubblici e professionisti. Stavolta l’operazione “La Squadra”, la sindacopoli sarda, irrompe in tutta la sua forza arrivando sino al consiglio regionale. Le manette scattano ancora una volta, un anno dopo la precedente con tre nuovi arresti, tredici persone ai domiciliari e il numero degli indagati che sale a 95. Dietro le sbarre, oltre al ritorno dell’ingegnere desulese Salvatore Pinna, deus ex machina della presunta cupola degli appalti pilotati, finiscono anche due big della politica isolana. Sono il consigliere regionale di Sorso Antonello Peru, che occupa ancora un posto nell’assise di via Roma con il ruolo di vice presidente, e il suo compagno di partito in Forza Italia, l’arzanese Angelo Stochino, che aveva detto addio al suo scranno di prestigio dopo le elezioni del 2014.

Il regno del malaffare, ancora più diffuso di quel che aveva fatto intuire la prima tranche dell’inchiesta – l’indagine è coordinata dal sostituto procuratore, Armando Mammone, e affidata al Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Oristano e ai carabinieri della Compagnia di Tonara – è ancora una volta fatto di tangenti, di appalti pubblici pilotati, di progetti che finiscono immancabilmente nelle solite conosciute mani. I soldi pubblici hanno un canale preferenziale, dove il denaro scorre arrivando a coinvolgere in perfette triangolazioni da “Squadra” ben rodata anche funzionari pubblici, sindaci, assessori, funzionari dell’Anas.

Lo sporco viene a galla nelle intercettazioni, dai pedinamenti, dalle testimonianze di indagati della prima ora, attraverso i documenti recuperati nei computer bollenti dei protagonisti. Come un fiume in piena, macchia del fango delle tangenti più o meno mascherate gli appalti per la strada Sassari-Olbia, per il porto di Tortolì-Arbatax, per il porto di Tertenia, per la strada provinciale 28 di Gairo, per la fascia costiera di Sorso, per i lavori su vecchi edifici pubblici a Ortueri e agli impianti sportivi di Aritzo, per la palestra comunale di Arzana, per la strada intercomunale Gergei-Mandas e per quella di Belvì, per la scuola di Desulo e la centrale elettrica di Santa Caterina.

La bomba annunciata più volte sembrava non voler esplodere. Invece, accompagnata dal suono delle sirene, all’alba di ieri, ha fatto sentire tutto il suo dirompente effetto, perché, oltre ad aver mandato tre degli indagati in carcere per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta, il giudice per le indagini preliminari Annie Cecile Pinello ha disposto anche tredici misure cautelari ai domiciliari e un obbligo di dimora. Le prime sono a carico di Giovanni Zallocco, 55 anni di Roma, Carlo Bernardini, professore universitario di 62 anni di Nuragus, Maurizio Fulvio Piras, 69 anni di Lanusei, Antonio Piras, 53 anni di Cardedu, Giovanni Piero Cassitta, 68 anni di Calangianus, Girolamo De Sanctis, costruttore romano di 77 anni, Francesco Franco Lai, 57 anni di Tertenia, ex assessore ai Lavori pubblici, Giovanni Chierroni, 65 anni di Nuoro ex direttore del Genio Civile, Walter Quarto, cugino di Salvatore Pinna, 55 anni di Cagliari dov’è direttore per le opere marittime del Genio Civile di Cagliari, Beniamino Lai, presidente del Consorzio Industriale di Tortolì di 50 anni, Andrea Ritossa, ingegnere di 43 anni di Cagliari, Agostino Sandro Urru, 55 anni di Belvì, Nicola Dinnella, funzionario dell’Anas di 42 anni di Matera. Infine c’è Paolo Manca, tonarese di 52 anni, sottufficiale della Finanza in pensione e cognato di Salvatore Pinna, per il quale è stato deciso l’obbligo di dimora.

Ci sono poi tutti gli altri, quelli che non sono finiti in carcere o ai domiciliari, 95 indagati – otto hanno peraltro già patteggiato – che sta lì a dimostrare la portata dell’inchiesta e della diffusione del fenomeno dalle rilevanze politiche e sociali che hanno i reati di cui si occupa. L’associazione a delinquere, secondo l’accusa costituita da Salvatore Pinna, Angelo Stochino e Antonello Peru, era capace di orientare le decisioni politiche, indirizzare gli investimenti della pubblica amministrazione, un flusso di denaro enorme, attraverso turbative d’asta, la presenza di commissari compiacenti o collusi nel momento in cui c’erano da affidare gli appalti o le tanto amate progettazioni. Che l’opera arrivasse poi a conclusione poco importava. Che fosse realmente realizzabile era solo un aspetto secondario: per la cupola degli incarichi pilotati, piuttosto, era vitale mettere le mani sul finanziamento regionale, qualsiasi esso fosse e di qualsiasi entità fosse. Meglio ancora se i lavori erano sotto soglia, perché questo significava il poter ottenere l’incarico con affidamento diretto e mettersi così al riparo dai giudizi non sempre favorevoli delle commissioni che assegnavano appalti e incarichi.

Eccola un’altra parola chiave: commissioni. Chi veniva chiamato a valutare i procedimenti e quindi a stabilire l’assegnazione degli incarichi erano sempre persone di fiducia che avevano il loro tornaconto con la retribuzione per la mansione svolta, con gli incentivi che arrivavano puntuali ad ogni passo in avanti fatto dal procedimento burocratico, con incarichi che sarebbero arrivati in altri appalti. L’unica cosa che non cambiava era il salvadanaio, quello sì era sempre pubblico. I soldi di tutti che finivano nelle tasche di pochi, quei pochi capaci di volare talmente alto da potersi permettere di orientare le scelte del palazzo che conta. Quello della Regione, durante la precedente legislatura.

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