La Nuova Sardegna

Giave, truffa da nove milioni: sigilli al maxi-impianto fotovoltaico

di Gianni Bazzoni
Giave, truffa da nove milioni: sigilli al maxi-impianto fotovoltaico

La Finanza sequestra le serre. Incassati fondi pubblici non dovuti: 3 indagati

12 luglio 2016
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SASSARI. Dai proclami del primo momento - con la convinzione di avere realizzato uno dei poli con serre fotovoltaiche tra i più interessanti al mondo - all’inchiesta giudiziaria e al blitz che ha portato i finanzieri del comando provinciale a sequestrare un impianto del valore di 50milioni di euro nella piana di Giave, a pochi chilometri da Sassari. Tre le persone indagate per truffa aggravata allo Stato, bloccati anche circa 9milioni di euro in contanti trovati sui conti correnti spulciati dalle fiamme gialle e che sarebbero frutto del contributo per l’energia prodotta.

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Nel mirino l’attività svolta dal complesso Enervitabio San Cosimo Soc. Agr. srl, nata su finanziamento della Win Win Precision Technology di Taiwan e destinata a diventare una delle aziende agricole e di produzione di energia fotovoltaica tra le più grandi al mondo. L’attività della Guardia di finanza è partita da alcuni accertamenti di carattere tributario e si è sviluppata nell’arco di due anni, sotto il coordinamento del sostituto procuratore della Repubblica di Sassari Giovanni Porcheddu. L’indagine avrebbe permesso di scoprire un complesso disegno criminoso che - attraverso dichiarazioni fraudolente rese da periti agronomi e altri raggiri - ha consentito alla società con sede a Giave (controllata dal gruppo finanziario che fa capo a una holding di Taiwan) di beneficiare di ingenti contributi pubblici.

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E qui nasce il primo problema: le risorse finanziarie, infatti, sono riservate per legge a chi svolge direttamente attività agricola, mentre in questo caso - secondo quanto scaturito finora dalle verifiche della Finanza che ha acquisito e analizzato una copiosa documentazione - gli interessati si sarebbero occupati unicamente di incassare i contributi erogati dal Gestore per i Servizi elettrici. E si sarebbero disinteressati totalmente della coltivazione dei terreni.

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L’impianto è stato sequestrato ma con la clausola che può restare in efficienza per consentire la produzione di energia rinnovabile, senza che però venga più corrisposta alcuna remunerazione attraverso i contributi del Conto energia, finanziati con bollette Enel di tutti gli italiani.

Un totale di 119 serre su un terreno di circa 35 ettari coperto per 24 dagli impianti fotovoltaici, tutto realizzato nella i Piana di Giave, tra le più difficili da coltivare per il passaggio stagionale dal troppo freddo al troppo caldo. Così l’idea-progetto delle serre aveva raccolto consensi su più fronti che, però, con il trascorrere del tempo hanno lasciato posto ai sospetti che dietro l’operazione ci fosse solo un grande affare legato ai contributi sull’energia e l’ennesima beffa per l’agricoltura.

Dal 2012, momento di entrata in produzione dell’impianto, i contributi incassati in maniera illecita - secondo i calcoli effettuati dai finanzieri del comando provinciale di Sassari - sarebbero pari a 8milioni e 900mila euro, ai quali vanno aggiunti circa 3milioni e 500mila euro provenienti dalla vendita dell’energia elettrica prodotta, il cosiddetto “ritiro dedicato”.

Le contestazioni di truffa aggravata e falso mosse dalla Procura e dalla Guardia di finanza - e riferite ai rappresentanti legali delle società coinvolte (un romagnolo prima e un tedesco domiciliato a Taiwan poi) e all’agronomo che ha firmato la relazione utilizzata per ottenere le autorizzazioni a costruire - hanno validità secondo gli inquirenti perché le colture non sarebbero mai state effettivamente impiantate. In una delle relazioni esaminate dai finanzieri, era stato rappresentato l’ambizioso progetto di creare a Giave una coltivazione di Aloe che - secondo i calcoli - avrebbe eguagliato l’intera produzione nazionale. In realtà la piantagione non risulta mai realizzata.

Le fiamme gialle avrebbero anche accertato che le aziende coinvolte nell’inchiesta procedevano ad acquistare prodotti agricoli da fornitori terzi e poi li indicavano nei bilanci come proventi dell’attività agricola, di fatto quasi inesistente.

Nel corso delle indagini - che potrebbero fare registrare ulteriori sviluppi - sarebbero anche emersi altri reati: l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per un milione e mezzo di euro, per i quali gli amministratori delle società (due sardi, un lombardo e un tedesco) sono stati denunciati.

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