La Nuova Sardegna

Referendum, il No resuscita le quattro Province sarde: costeranno 320 milioni all’anno

di Luca Rojch
Referendum, il No resuscita le quattro Province sarde: costeranno 320 milioni all’anno

La Costituzione le prevede, la riforma della Regione le aveva già superate con le Unioni dei Comuni. In primavera nell’isola le elezioni di secondo livello per scegliere i nuovi consiglieri e i presidenti

06 dicembre 2016
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SASSARI. Immortali. Il primo miracolo della vittoria del No al referendum è la resurrezione delle Province. Delle quattro storiche, si intende. La Costituzione ne prevede l’esistenza e la riforma varata dalla Regione non può cancellarle. E le maltrattate e abolite Province, con un referendum nel 2012, si prendono la loro rivincita. Sono tanto vive che in primavera si eleggeranno i nuovi consigli.

Vive. L’assessore agli Enti Locali Cristiano Erriu non è sorpreso e spiega con calma cosa accadrà. «Avevamo previsto anche questa possibilità nel testo della riforma – dice l’assessore –. Non si rischia il caos come qualcuno si aspetta. Le Province di Sassari, Nuoro, Oristano e Sud Sardegna continuano a esistere. Ma come enti di secondo livello». In altre parole avranno un consiglio, un presidente, degli assessori, che si chiameranno consiglieri delegati. Tutti eletti, ma nessuno di loro prenderà un euro. La loro elezione sarà identica a quella della città metropolitana di Cagliari, che non sarà cancellata dallo stop alla riforma. Anche perché ha già avuto finanziamenti per 180milioni di euro. I componenti della Provincia saranno scelti tra i consiglieri dei Comuni.

Le elezioni. È già fissata anche la data delle elezioni. Saranno in primavera, due settimane dopo le amministrative del 2017. «Questo per evitare di eleggere consiglieri che poi decadranno subito – spiega ancora Erriu –. Nessuno percepirà uno stipendio. Ma questo non toglie che le Province abbiano un costo». Erriu non lo dice in modo netto, ma la vittoria del No ha come primo effetto tangibile una mancata riduzione dei costi del funzionamento delle Province. Lo spirito della riforma regionale degli enti locali era anche questo.

Il conto. Fino a oggi per far funzionare la macchina Provincia in attesa del risultato del voto, a pagare il conto è stata la Regione. Ci ha messo 320 milioni per farle funzionare. Soldi presi dal Fondo unico della Regione. E questo sarà il costo minimo che le Province avranno per andare avanti, ma l’assessore non è più disposto a pagare. «Dovrà essere lo Stato a farsi carico del loro funzionamento e dei dipendenti –continua Erriu –. È chiaro che ora anche il personale dovrà restare là. A parte chi ha chiesto di avere la mobilità orizzontale verso alti enti locali. Resteranno i lavoratori che si occupano alle competenze rimaste alle Province: edilizia scolastica, strade e ambiente». Per dare gambe a queste strutture servono risorse. Ma nessuno ne ha. La Regione ha un bilancio impegnato fino all’ultimo centesimo. In teoria le Province potrebbero vivere dalla quota della Rcauto che dovrebbe andare a loro. Appunto 320 milioni di euro. Soldi che da tempo lo Stato si porta via e che iscrive tra le entrate del suo bilancio. Ora Roma dovrà trovare una soluzione per evitare la bancarotta.

Democrazia a strati. Qualcuno penserebbe che a questo punto a scomparire saranno le Unioni dei Comuni, che sulla carta dovevano cancellare le Province. Ma non è così. Le unioni resteranno. Avranno il ruolo di enti di area vasta e si occuperanno di una parte delle competenze che prima spettavano alle Province. Avranno anche una parte del personale e saranno alimentate dalla Regione. Anche se i suoi amministratori lavoreranno a costo zero. In altre parole ci saranno la Regione, le Province o la città metropolitana, le Unioni dei Comuni e i Comuni.

La delusione. Erriu non entra nelle scelte politiche della vittoria del No, ma non nasconde la sua delusione. «È difficile capire come si possa essere votato nel 2012 per abolire le Province e nel 2016 per salvarle. Ma ho rispetto della volontà popolare e in ogni caso la riforma è stata congegnata anche per affrontare questo tipo di situazione».

Cenerentole gabbate. In questo girotondo di referendum, abolizioni e rinascite le uniche Province a sparire sono state le quattro regionali. Quelle nate dietro la spinta di quelle fette dell’isola che rivendicavano la loro autonomia e la loro identità. Su tutte la Gallura che dovrà ritornare sotto Sassari. O l’Ogliastra che sarà tra Nuoro e il Sud Sardegna. Certo per loro ci sarà sempre la possibilità di creare una Unione dei Comuni che dia una forma di autonomia a queste fette di territorio. Ma su temi come scuole, strade e ambiente ritorneranno sempre sotto la vecchia Provincia madre. È forse questo il più grande bug della riforma della Regione che aveva pensato a tutto, ma non che le odiate Province abbattute a furor di popolo si rivelassero immortali.

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