La Nuova Sardegna

Ergastolo a Rocca, cappa di gelo a Gavoi

di Pier Luigi Piredda
Ergastolo a Rocca, cappa di gelo a Gavoi

Il delitto di Dina, l’avvocato difensore accusa: «Sentenza inaccettabile, indagini superficiali»

14 dicembre 2016
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GAVOI. Ergastolo. Carcere a vita. Una sentenza durissima che continua a pesare come un macigno su Gavoi, un paese che ormai da otto anni vive in un incubo da quale non riesce a uscire. Neppure la condanna di Francesco Rocca, 46 anni, il dentista di Gavoi ritenuto dai giudici della Corte d’assise d’appello di Sassari, così come da quelli della Corte d’assise di Nuoro, il mandante del delitto della giovane moglie Dina Dore, è servita per sciogliere il gelo che ha avvolto tutta la comunità.

A Gavoi regna il silenzio. Anche se poi in paese logicamente non si parla d’altro. E così i giornali che hanno scritto della tragica storia finita con la condanna all’ergastolo vengono quasi passati al microscopio. Gli articoli letti con la massima attenzione e commentati riga per riga. Perché in paese non si parla d’altro, anche se si vuol fare vedere che non se ne parla per non far sembrare morbosa l’attenzione. Parlano tutti del delitto di Dina e della condanna di Francesco, che fino al giorno dell’omicidio era sempre stata considerata una coppia modello, invidiata da tutti. Ma ne parlano sottovoce, nascondendosi, per evitare di poter essere additati come componenti di uno schieramento. Schieramenti che esistono solo nell’immaginario collettivo, ma che ormai sono così radicati da essere considerati reali.

Solo il sindaco ha il coraggio di uscire allo scoperto, prendendosi una grande responsabilità in questa fase di studio e di tentennamenti, ma dimostrando così di essere veramente espressione di quel paese che l’ha chiamato a guidare la comunità. Anche in un’occasione così difficile come questa. Per portare Gavoi fuori dal tunnel.

«Non è compito dell'amministrazione comunale commentare le sentenze – ha spiegato il sindaco Giovanni Cugusi –. In questo momento possiamo solo dire che questa vicenda, l’omicidio di una giovane madre, ha segnato profondamente la nostra comunità. L’amministrazione comunale di Gavoi è vicina alla famiglia della vittima e a tutti coloro che hanno sofferto per questa drammatica vicenda. Oltre la sentenza – ha continuato Giovanni Cugusi – l’impegno di tutti è di ritrovare un senso di pace e di coesione, messo a dura prova in questi ultimi anni. Perché questo sia possibile, il presente e il futuro devono essere caratterizzati – ha concluso il sindaco di Gavoi – dall’impegno e dal lavoro di tutti per rinvigorire i valori del rispetto reciproco e soprattutto il rispetto per le donne».

Se la famiglia di Dina Dore ha scelto di mantenere il profilo basso e chiudersi nel suo dolore, nonostante la seconda sentenza di condanna pronunciata dai giudici, per gli avvocati di Francesco Rocca il giorno dopo la condanna è colmo di rabbia e delusione. E a manifestare questi sentimenti è l’avvocato Mario Lai, l’esperto penalista nuorese cha ha difeso il dentista di Gavoi insieme al collega Angelo Manconi.

«In oltre 45 anni di professione, questa è una sentenza che proprio non riesco ad accettare – ha spiegato Mario Lai, accalorandosi mentre espone le sue tante perplessità –. Le indagini sono state fatte con troppa superficialità. Si è creduto a un confidente che ha cambiato versioni, adattandole al momento in cui servivano. Abbiamo chiesto che l’accusatore di Pierpaolo Contu (il minorenne condannato a 16 anni di carcere come esecutore del delitto di Dina Dore, ndr) venisse in aula. Credo che sia la prima volta che l’accusatore non compare mai al processo e si accettano le sue dichiarazioni rilasciate agli investigatori. Magari non avrebbe cambiato l’esito del processo – ha insistito il penalista – , ma sarebbe stato utile per sgombrare il campo dai tanti dubbi che a nostro parere sono emersi. Invece si è preferito affidarsi a confidenti e anonimi, quando invece sarebbe stato meglio chiedere agli investigatori perché in tanti anni di indagini non è mai stato scoperto dove è stato acquistato il nastro adesivo con il quale era stata avvolta Dina Dore. E magari scoprire perché sono state ascoltate tante storie prive di fondamento e mai approfondite quelle più consistenti. Ora ci resta soltanto la Cassazione – ha concluso l’avvocato Mario Lai –: abbiamo fiducia».

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