La Nuova Sardegna

Mesina, rinato con la grazia e poi di nuovo la caduta

di Paolo Merlini
Mesina, rinato con la grazia e poi di nuovo la caduta

L’ex primula rossa fino al suo nuovo arresto era diventata una star negli show tv In paese faceva la guida turistica per i vacanzieri vip e girava con una Porsche

14 dicembre 2016
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ORGOSOLO. Il mito, o quel che ne restava, era già andato in frantumi nel giugno di tre anni fa, quando Grazianeddu era finito di nuovo agli arresti assieme ad altre 25 persone con l’accusa di essere alla guida di un’organizzazione specializzata in traffico di droga ed estorsioni. All’epoca l’ex Primula Rossa del Supramonte girava per le vie del paese in Porsche Cayenne, ostentava al polso un pataccone Montblanc da 45 millimetri, indossava camicie sartoriali con le iniziali G.M ricamate. Aveva fatto i soldi, insomma, in modo apparentemente onesto, con ospitate tv, comparsate a manifestazioni pubbliche o come testimonial di se stesso: pezzo forte di pacchetti turistici incentrati sul mito di Orgosolo paese dei banditi, che includevano, a richiesta e dietro pagamento, l’incontro con il Re del Supramonte. Partecipava come criminale redento a lezioni di educazione alla legalità nelle scuole, ed esibiva soddisfatto il suo nuovo status sociale ai compaesani, dando consigli preziosi sulla vera ricchezza di Orgosolo, il turismo, o facendo ritrovare la merce rubata in un museo; perdonando chi gli aveva incautamente rubato il Cayenne, poi ritrovato bruciato: “Cose che capitano”, aveva detto ostentando la saggezza di un monaco zen. In realtà dal processo al termine del quale lunedì è stato condannato a trent’anni è emerso che fu lui a ordinare di bruciare la Porsche, quando capì che era invasa dalle microspie degli inquirenti. Dicono che perse la calma quando scoprì che l’assicurazione non lo avrebbe risarcito.

Orgosolo ha accolto quasi con indifferenza la sentenza nei confronti di Grazianeddu. In molti erano convinti che sarebbe andata a finire in questo modo, anche se non si aspettavano una condanna così dura. Riaffiora la tesi complottista, alimentata dallo stesso Mesina durante le deposizioni in aula, circolata in paese all’indomani dell’arresto: e cioè che sarebbe stato punito per aver ostacolato i servizi segreti durante il sequestro di Farouk Kassam (nel 1992), della cui liberazione Mesina si è sempre vantato. Ma il garantismo, penale o sociologico, per Grazianeddu si è spesso sprecato.

L’ex Primula Rossa non era in aula al momento della lettura della sentenza, ma ha atteso il verdetto nella cella nel braccio AS3 (alta sicurezza) del carcere di Badu ’e carros a Nuoro. Non si sa come abbia commentato la notizia con il compagno di cella, certo è che nei prossimi giorni avrà un incontro con uno psicologo e un educatore. Non lo ha chiesto lui, come del resto mai ha fatto nei tre anni di reclusione, ma è la prassi di fronte ad avvenimenti di rilievo nella vita dei detenuti, e una condanna a 30 anni all’età di 74 indubbiamente lo è. Se non bastasse, la revoca della grazia equivale al ripristino della pena dell’ergastolo alla quale era stato condannato da tempo.

Graziano Mesina ha trascorso complessivamente 44 anni in carcere, nel corso dei quali ha usufruito di permessi che spesso non ha rispettato, e cinque alla latitanza. Ha avuto la grazia nel 2004 dal presidente Ciampi. Una volta fuori, in poco tempo è diventato un personaggio mediatico. Ha aperto la strada la partecipazione a “Porta a porta”, con il ministro della giustizia Castelli che si commosse ascoltando la sua storia tormentata. Poco prima dell’arresto si parlò diffusamente della sua partecipazione al reality show “L’isola dei famosi”, ma non se ne fece nulla. Pare che Mesina chiedesse un cachet ben più alto di quello offerto da Mediaset.

L’attrazione di Grazianeddu per i riflettori del resto, oltre che per il denaro, è di vecchia data. Raccontava Peppino Fiori, il giornalista che per primo lo intervistò dopo la cattura nel 1968, come Mesina, appreso che il regista Carlo Lizzani doveva dirigere il film “Barbagia” tratto dal suo libro “La società del malessere”, gli disse: «Fate una pellicola su di me, e a me niente soldi?». Richiesta che all’uscita del film fu reiterata allo stesso Lizzani e al produttore De Laurentiis. Non gli bastava essere interpretato da un bello come Terence Hill, l’ex Primula Rossa voleva i diritti sul personaggio costruito in una vita.

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