La Nuova Sardegna

Carbonia, il minatore centenario che guida l’auto e va sulla cyclette

di Alessandra Sallemi
Luigi Zara, classe 1917, sulla cyclette (foto di Mario Rosas)
Luigi Zara, classe 1917, sulla cyclette (foto di Mario Rosas)

Luigi Zara ha passato la vita a spalare carbone a Serbariu: «Mi chiedono spesso come è nata Carbonia, io c’ero prima»

12 gennaio 2017
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INVIATA A CARBONIA. Domani 13 gennaio 2017 l’ex minatore Luigi Zara compie cent’anni ed è atteso alla Grande Miniera di Serbariu per una festa con i compagni di lavoro, tutti più giovani, e con le rappresentanze di una città grata agli uomini come lui. Ma i preparativi per l’occasione pur grandiosa non gli impediranno di fare ciò che ripete da molti anni a questa parte, di buon mattino, nel suo soggiorno, con la sola compagnia del cagnolino Tobi: mezz’ora di cyclette, pedalata veloce, perché il fiato si mantiene così.

Lo racconta subito, nella sua casa di via Tirso 43, e sa di stupire perché Luigi Zara è abituato a rilasciare interviste: «Sono venuti anche da Milano, erano studiosi, volevano sapere da me, che c’ero prima, com’era nata Carbonia. Qui c’erano boschi, i cinghiali venivano dalla montagna a bere». Ecco perciò che aggiunge altri particolari su di sé, come la passeggiata immancabile dopo la pedalata e anche la patente di guida appena rinnovata, il tifo per il Cagliari «e dopo» per la Juventus, il telegiornale ascoltato tutti i giorni. Vive solo, una ragazza viene la mattina per quattro ore a fare le pulizie e gli prepara il pranzo, soprattutto minestra e una fettina.

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La figlia Angela entra ed esce dal salottino, aspetta i cugini Silvano e Maddalena che arrivano da Bologna, ogni tanto porge l’orecchio a una frase del padre: «Tante cose le ho scoperte di recente - spiega - non sapevo nulla, anche mamma non stava a raccontare». Mafalda, la madre, era nata in Tunisia da una famiglia di Villaputzu, il padre di lei faceva lo stradino. Tornò in Sardegna quando «Mussolini richiamò gli italiani dall’Africa - racconta Luigi Zara -, lei diventò amica di mia sorella, veniva a casa nostra, si era già innamorata di me prima di conoscermi - sorride Luigi -: vedeva la fotografia». Mafalda è mancata sette anni fa e Luigi Zara non è più andato alle terme frequentate per via della silicosi dal tempo in cui, dopo strenue battaglie sindacali, i lavoratori della miniera ottennero i soggiorni di due settimane per curarsi.

«Facemmo scioperi - racconta - c’era Andreotti al governo e una volta venne, qui, a vedere quali erano le nostre condizioni». Zara entrò in miniera a 15 anni, a Bacu Abis. Qui la famiglia, di Iglesias, era venuta per coltivare la terra. «Io chiesi a dottor Sanna (il medico condotto) se potevo entrare in miniera - racconta Luigi Zara - c’era miseria, volevo un lavoro più sicuro della campagna. Io ero coordinatore e armatore, armavo la miniera e arrivavo quando c’erano gli incidenti. I primi anni ce ne furono molti perché i pastori ci dicevano “sono minatore”, si mettevano a lavorare e ci lasciavano la pelle. Nel 1932 erano morti sei ragazzini, l’acqua dalle falde era risalita e loro che non avevano esperienza si erano rifugiati su una rimonta pensando che fin lì non sarebbe arrivata».

Zara lasciò la miniera all’inizio degli anni Settanta, l’ultimo atto fu salvare un minatore e armare una cavità in cui ne erano morti altri due. Anche in guerra restò minatore: «Mi facevano sminare i campi e mettere le traverse sui ponti per passare. L’ho fatto sul Tevere e sul Po. Dovevo andare in Russia, ma la scampai. Io la mattina alle 10 partii da Civitavecchia per Cagliari, alle 10 di quella stessa sera i miei compagni partirono per la Russia».

Alla fine degli anni Cinquanta Zara non andò nelle miniere del Belgio e della Francia, come tanti altri. Fu sindacalista e attivista politico nelle file del Pci. Distribuiva l’Unità in scooter fino a Villamassargia. Con la pensione finì un’epoca, ma senza rimpianti: «Volevo stare tranquillo e basta, per tutti io ero il “vecchio minatore”. Quante volte sono venuti a chiedermi come si lavorava un tempo». Ogni tanto si sente dire che le miniere dovrebbero riaprire: «Perché non c’è altro lavoro. Ma forse, volendo, oggi si potrebbe tornare in campagna». L’appuntamento, domani, è alle 12,30.

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