La Nuova Sardegna

La Caritas della Sardegna: i migranti risorsa per l’economia

di Alessandra Sallemi
La Caritas della Sardegna: i migranti risorsa per l’economia

Don Marco Lai: «Non possiamo fare a meno di loro». No ai Cie: «Una follia»

15 gennaio 2017
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CAGLIARI. Ottomila profughi sono arrivati in Sardegna nel 2016. Nello stesso anno sono stati censiti 47.425 stranieri già residenti. Ieri la Caritas regionale, in preparazione alla Giornata internazionale del migrante che si celebra oggi in tutto il mondo, ha presentato il XXV rapporto sul fenomeno dell’immigrazione e ha accettato di rispondere alla madre di tutte le domande e cioè «come facciamo ad accoglierli tutti?».

La svolta. In Italia i profughi arrivati nel 2016 sono 180mila, altri 6mila sono annegati nel tragitto: ne arriveranno ancora «dato che questo fenomeno dell’immigrazione - riassumeva ieri, nella sala gremita di Sant’Eulalia, l’arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio - ha tutta l’aria di essere di lunga durata perché è una svolta dell’umanità». Una svolta cui partecipano anche gli italiani, come ha spiegato padre Stefano Messina, direttore dell’ufficio migranti della diocesi. «I nostri connazionali sparsi nel mondo sono 4 milioni 811mila. Nel 2015, 107mila 529 sono stati gli italiani che hanno fatto le valigie per non tornare. Dal 2006 al 2016 la mobilità degli italiani verso l’estero è aumentata del 53 per cento, oggi - ha sottolineato padre Messina con sorpresa dell’uditorio - si parte soprattutto dalla Lombardia e dal Veneto. E si tratta di un’emigrazione anche familiare, con gli anziani».

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Aylan e i suoi fratelli. Oliviero Forti, responsabile migranti della Caritas per l’Italia e l’Europa: «L’Italia si è distinta nell’accoglienza ma resta il nodo dell’integrazione. Si stenta. Il tema dell’immigrazione ha due icone planetarie: Aylan, 3 anni, siriano, il corpicino riverso sulla spiaggia turca di Bodrum e Mohamed, 16 mesi, birmano, col piccolo volto affondato nella sabbia. È opportuno che si dedichi l’anno ai bambini migranti, ma oltre le riflessioni bisogna trovare soluzioni. Voglio parlare qui di un segnale forte che si è voluto dare. Assieme a monsignor Galantino delegato Cei (Conferenza episcopale italiana), si è firmato un protocollo per un corridoio umanitario che porterà in Italia 500 profughi del campo in Etiopia dove è radunato il più alto numero di profughi. Certo, 500 è un numero limitato e, poi, c’è la critica mossa da alcuni e che va ascoltata: “Addirittura ce li andiamo a prendere?”. Noi vogliamo dimostrare che portare in sicurezza le persone costa meno, si evitano le morti nei tragitti, è minore l’impatto sui territori. Perché il problema dell’immigrazione, una volta che sappiamo che andrà avanti, è come continuare».

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I rimpatri forzati. Una cosa che l’Italia non riesce a fare sono i rimpatrii forzati. «Dei 180mila profughi giunti nel 2016 in Italia quanti di loro non hanno diritto di restare perché migranti economici? Ecco, secondo noi, aprire in ogni regione un Cie (centro identificazione ed espulsione, in Italia ce ne sono 4 con quasi 100mila persone) è una pazzia. Per espellere gli stranieri ci vogliono accordi internazionali molto difficili da raggiungere nonostante il lavoro che si sta svolgendo. Che fare nel frattempo con chi non ha titolo per stare in Italia e non c’è possibilità di rimpatrio? Noi diciamo: diamo il permesso perché possano stare fra noi in modo regolare, senza diventare facile preda della malavita. È una mossa coraggiosa verso l’Europa che non vuole regolarizzazioni di questo tipo».

I flussi d’ingresso. «È 5 anni - ha detto ancora Forti - che l’Italia non apre i flussi d’ingresso, ma cerchiamo di non fingere: molti irregolari, in Italia, lavorano già. Questo credo sia un punto fondamentale: il tema immigrazione non è più solo un problema, è anche una risorsa. Ottenere la collaborazione di tutti gli enti è un passaggio fondamentale e per ora ce n’è poca se, su 8mila comuni italiani, solo 2.500 fanno accoglienza».

Sponsorship. Sulla falsariga del corridoio umanitario, una possibilità sono le sponsorship: «Soggetti pubblici e privati – spiega il professor Forti - che sponsorizzano l’ingresso di persone per uno scopo», ci sono tanti settori che hanno bisogno di manodopera.

Risorsa umana. Don Marco Lai, direttore regionale della Caritas: «Noi oggi non possiamo fare a meno degli stranieri - commenta in margine al convegno - e dobbiamo far uscire questa verità dalla sfera delle famiglie. Anche in Sardegna c’è il crollo demografico e il tema dell’agricoltura non è disgiunto dalla questione demografica, anzi. Noi, con i migranti, abbiamo in comune una domanda: quale benessere vogliamo? I respingimenti non rispondono ai nostri bisogni. Dobbiamo promuovere una nuova progettualità. Dove c’è una grossa presenza di immigrati, come in Germania, l’economia tira».

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