La Nuova Sardegna

Pigliaru ai nuovi assessori: non chiudetevi negli uffici

di Umberto Aime
Pigliaru ai nuovi assessori: non chiudetevi negli uffici

Il governatore presenta i quattro esordienti della giunta dopo il faticoso rimpasto «Siamo una squadra». E al Campo progressista: «La mia porta è sempre aperta»

07 marzo 2017
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CAGLIARI. La fatica è stata tanta, si vede, si sente, ma c’è ottimismo, dopo il rimpasto. Francesco Pigliaru parla a braccio: ispirato da qualche appunto, quattro lettere ufficiali d’ingaggio, consegnate al momento, e un computer su cui getta lo sguardo. I nuovi assessori sono schierati: due a destra, Filippo Spanu, affari generali, e Pier Luigi Caria, agricoltura, due a sinistra, Barbara Argiolas, turismo, e Giuseppe Dessena, cultura e istruzione. Sono emozionati o decisi, dipende dal carattere e dall’esperienza, ma tutti orgogliosi di essere stati scelti. Gli altri otto, quelli confermati, non ci sono: c’è stato solo un complicato, eccome, cambio della guardia, non la rivoluzione e dunque niente ristampa della foto di gruppo. A mancare però è anche l’aria allegra e vincente del 2014, l’anno della prima giunta Pigliaru. Sì, oggi qualche scontento in più c’è, fuori dalla porta. Il presidente lo sa, non cerca altri strappi, bastano quelli che ci sono, vuole ricucire, ci ha provato e continuerà a farlo. Pesa le parole fino a scandirle: «Da oggi in poi, abbiamo una grande opportunità e due anni davanti, per raccogliere quei risultati che non arrivano subito, quando fai la scelta scomoda e coraggiosa di pensare prima alle riforme. Riforme che andavano fatte: dalla sanità agli enti locali, alla scuola. Poi la continuità territoriale dove, con il nuovo bando, vogliamo ballare meno, e il mondo del lavoro in cui dobbiamo essere più concreti». C’è voluto del tempo forse persino troppo per riempire le caselle rimaste vuote, due, o svuotate in corsa, altrettante. Ha dovuto aspettare che i partiti si mettessero d’accordo fra loro e dentro di loro, alcuni non ci sono riusciti, purtroppo, dirà. Sel s’è spaccata: chi ha traslocato nei Democratici progressisti è rimasto in giunta, quelli finiti nel Campo progressista no. Poi c’è il Pd: continua a essere instabile, ma almeno pare aver raggiunto una sua calma apparente seppure molto isolana e pochissimo nazionale. Ci sono anche gli altri: il Partito dei sardi è deluso, da Pigliaru s’aspettava una ristrutturazione più radicale, mentre l’Upci-Psi è ridiventato pacifico dopo aver mantenuto quello che aveva, un assessorato. È questa la maggioranza chiamata a sostenere l’edizione rinnovata della giunta. Maggioranza da cui il governatore si aspetta più di quanto abbia avuto nei primi tre anni, sottolinea, ma qualche novità dovrà proporla presto anche lui, però non crede negli sgambetti per dispetto e vendetta. «Basta con la conflittualità. Ci dobbiamo aiutare meglio fra noi – dice – e in passato non sempre è accaduto. Dobbiamo essere una squadra. Dialogare fitto e camminare insieme in quest’avventura che non comincia ora». È una seconda puntata, dirà nel ringraziare gli uscenti: Claudia Firino e Francesco Morandi, esclusi per doppia scelta tecnico-politica, Gianmario Demuro ed Elisabetta Falchi, che invece si sono dimessi. Qualcuno di questi gli manca, altri meno: «Verso tutti – dice – provo comunque un’estrema gratitudine per la passione dimostrata». Da qualche rapporto aspro però è rimasto scottato e per non ripetere gli errori, di lì a poco dirà ai nuovi: «L'errore più grande sarebbe chiudervi nell’assessorato e farlo diventare una cosa privata, vostra o dei partiti che vi sostengono. Devono essere stanze aperte al mondo e al confronto interno: di questo abbiamo bisogno, anche nella scelta, la condivideremo, degli staff». Per essere sicuro di avere tutto questo possibile bendidio da chiunque, Pigliaru avrebbe dovuto giocare però l’Asso pigliatutto. Cioè: la giunta solo del presidente, quella del “scelgo io e ciao”, ma ci sarebbe voluta una forza che il mese trascorso in ospedale e la convalescenza gli hanno levato, poi lui da sempre preferisce il confronto all’arroganza. Meglio scommettere ancora sulla coalizione, anche se messa a confronto con l’originale, nel frattempo qualche pezzo l’ha perso: Rifondazione e Rossomori, mesi fa, il Campo progressista dei parlamentari Luciano Uras e Roberto Capelli, oggi. «Ci abbiamo provato – dice – a ricomporre questa o quella frattura, non ce l’abbiamo fatta, ma a un certo punto le scelte andavano prese. Però terrò la porta sempre aperta, non ho certo la volontà di escludere qualcuno», sostiene nel lanciare un appello che mai si stancherà di ripetere. Anche «a costo d’ingoiare insulti o accuse ingenerose ed è accaduto». Bisogna guardare oltre, è la proposta operativa. «Evitiamo – sostiene – di scivolare nel populismo e nella demagogia. Puntiamo a raccogliere i frutti di quello che abbiamo fatto, molto, e a seminare in fretta, soprattutto nelle zone interne, per un futuro migliore». Domani questo e altro dirà Pigliaru in Consiglio, dove troverà entusiasti, scontenti, vecchi amici e nuovi nemici. Ma dopo un rimpasto è inevitabile che la storia finisca o cominci sempre così.

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