La Nuova Sardegna

Sfiorato il faccia a faccia con Farouk 

di Giampiero Cocco
Sfiorato il faccia a faccia con Farouk 

Quando Boe è sceso dall’aereo l’ex sequestrato si stava imbarcando in un altro volo per Roma

27 giugno 2017
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OLBIA. Negli aeroporti è facile, per chi viaggia, incontrarsi. Ieri pomeriggio il faccia a faccia, che sarebbe stato epocale, non si è verificato per via dei diversi gate di partenza e arrivo. Matteo Boe, ex primula rossa di Lula e tagliatore di orecchie di bimbi e adulti, alle cinque del pomeriggio scendeva dall’aereo che da Milano lo portava nell’isola, mentre due uscite più avanti, in partenza per Roma, c’era Farouk Kassam, il bambino sequestrato dal bandito lulese il 15 gennaio del 1992. Matteo Boe, barba talebana e bisaccia ricamata, è uscito dall’aeroporto di Olbia Costa Smeralda protetto dai parenti che hanno fatto scudo verso i giornalisti e fotoreporter che cercavano di immortalarlo. Le sue memorie di sequestratore di uomini, se dovrà lasciarne traccia su libri o interviste, al netto delle paludate giustificazioni da rivoluzionario in odore di sardità, le ha già concordate con la giornalista di origini sarde che lo ha accompagnato, ieri l’altro, fuori dal carcere di Opera, dove il bandito di Lula ha trascorso gli ultimi quindici anni di reclusione.

I Kassam, in questi giorni, evitano di parlare della liberazione dell’ex primula rossa del Montalbo. La famiglia è in festa per il matrimonio di una loro parente con un architetto arzachenese, e domenica pomeriggio Fateh Kassam e Marion Bleriot , il padre e la madre di Farouk, brindavano sulla terrazza di un hotel di Cala Gonone, rinnovando il loro amore per la Sardegna e per i sardi. Nessuna parola per Matteo Boe, il carceriere “cattivo” – come lo chiamava Farouk – che «lo tenne rinchiuso in fondo alla grotta costringendolo a stare disteso su un piccolo giaciglio appena illuminato da uno spiraglio di luce che entrava da una piccola breccia sulla volta. Per tutta la prigionia non gli consentì di alzarsi nemmeno per andare a fare i bisogni da qualche altra parte», ha ricordato Marion Bleriot a Matilde Gianfico, giornalista di “Donna Sarda”. Quando il bimbo, nel luglio del 1992 venne liberato, non riusciva neppure a muoversi a causa della sua lunga immobilità. «Aveva le ossa gravemente decalcificate e le gambe fragili come grissini. Il carceriere lo fece uscire soltanto una volta con l’unico scopo di trarlo in inganno, convincendolo che la fitta nebbia che quel giorno era calata sulla valle sottostante fosse il mare, così che, se un giorno fosse stato liberato, avrebbe sviato gli inquirenti nel rintracciare la grotta. Gli lanciava il grasso del prosciutto e se vomitava, lo picchiava con una verga costringendolo a ringoiare il suo vomito». Questo il trattamento riservato al cucciolo di uomo «rubato» (definizione di Farouk) nell’isola. Un bimbo innocente che, una volta liberato, chiese per regalo una trappola per topi, tanti ne aveva visti in prigionia. Matteo Boe è rientrato nell’isola da uomo libero, dopo aver scontato 25 dei trent’anni che gli erano stati inflitti per tre sequestri di persona, quello di Sara Niccoli, di Giulio De Angelis e del piccolo Farouk Kassam.



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