La Nuova Sardegna

L’isola è in ritardo: la crescita arranca  e l’export è in calo 

di Claudio Zoccheddu
L’isola è in ritardo: la crescita arranca  e l’export è in calo 

A Sassari riuniti gli stati generali dell’economia sarda  Pil pro capite come nell’est europeo. Sorride solo il turismo

01 luglio 2017
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SASSARI. Si dice “ritardo di sviluppo” ma fino a undici anni fa si sarebbe letto “Obiettivo 1”, la misura che l’Unione europea utilizzava per sostenere le regioni sottosviluppate. Per dirla con i numeri, finivano nell’Obiettivo 1 tutte le regioni con un Prodotto interno lordo pro capite minore del 75 per cento della media europea. Una condizione che si è palesata nuovamente nell’isola, dove il Pil vale il 70 per cento di quello della media europea e si affianca a quelli di stati come la Polonia o di regioni note non certo per la vivacità economica, come la Castilla- la Mancha spagnola o l’Alentejo portoghese. Se il paragone dovesse essere limitato al passato, nel 2015 l’isola ha fatto segnare lo stesso dato registrato nel 1997. Un salto indietro nel tempo che spaventa ma che potrebbe anche essere l’ultimo strascico di una crisi che sembra destinata a diventare un ricordo, anche se con un ritmo degno di un bradipo in vacanza. Dopo aver toccato il fondo nel 2015, l’anno scorso il Pil sardo è cresciuto dello 0,4 per cento. Poco, ma comunque un segnale positivo.

Il convegno. La condizione di salute della Sardegna è stato misurata durante un incontro organizzato nella sede della Fondazione di Sardegna dalla Banca d’Italia, dal Crenos e da Confindustria Centro Nord Sardegna che hanno portato a Sassari gli stati generali dell’economia isolana. E l’affresco che ne è venuto fuori è un’opera che può avere molteplici letture: la Sardegna sembra aver scollinato la montagna della crisi ma percorre la conseguente discesa con estrema lentezza e gli interventi che si sono susseguiti ieri mattina hanno confermato un quadro che iniziava a prendere forma dopo la pubblicazione del rapporto della Banca d’Italia.

I numeri. L’isola è divisa. Alcuni settori crescono e sono costretti a tirare la carretta, altri sono in stallo e non possono fare altro che farsi trascinare in attesa di tempi migliori. L’industria sarda che può guardare al futuro con serenità è quella turistica: + 9 per cento e una rosa di potenzialità talmente vasta da essere difficilmente misurabile. Il turismo si aggiunge dunque all’unico settore che aveva fatto segnare una crescita esponenziale fino al 2015, quello delle Start-up. Le imprese che puntano tutto sull’innovazione hanno fatto segnare numeri praticamente unici: nel 2015 sono cresciute del 22 per cento (nel 2016 appena dell’1 per cento) ma hanno un’aspettativa di vita media di appena 4 anni. L’export dell’isola è invece diminuito per colpa del calo dell’esportazioni petrolifere e di un settore agroalimentare che non riesce fare il salto di qualità nei mercati internazionali. Crescono invece le grandi imprese isolane che hanno contribuito all’aumento del fatturato registrato nel 2015 che, però, dovrà fare i conti con il calo degli ordini e degli investimenti. Due incognite che non incidono sulle previsioni per il 2017 che annunciano un ulteriore aumento del fatturato, oltre alla ripresa degli investimenti.

L’occupazione. La maglia nera è difficile da sfilare e se il bollettino dell’occupazione in Italia è meno preoccupante del passato perché cresce il numero di chi ha trovato un lavoro (anche se rimane da valutare l’incidenza del Jobs act), la Sardegna rimane al palo con numeri che preoccupano. E se sono aumentate le assunzioni a tempo determinato, quelle tempo indeterminato sono ancora un miraggio per una regione che ha un tasso di disoccupazione giovanile, tra i 15 e i 34 anni, che doppia la media nazionale. Un disastro che non potrà essere colmato da futuri lavoratori più preparati: il tasso di abbandono scolastico è troppo alto mentre è in calo quello dei diplomati.

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