La Nuova Sardegna

Addio a Susanna, un cuore contro la Sla e per la Dinamo

di Andrea Sini
Addio a Susanna, un cuore contro la Sla e per la Dinamo

Grande appassionata di sport, era malata da vent’anni Il giorno dopo lo scudetto la squadra era andata a trovarla

18 luglio 2017
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SASSARI. «La gratitudine che nasce dall’aver strappato “ancora un giorno” alla Sla è il sentimento che caratterizza la mia quotidianità». La battaglia di Susanna Campus è durata vent’anni e, in una quotidianità vissuta in un corpo completamente inerte, non c’è stato un solo giorno in cui lei abbia abbassato la guardia. La decana dei malati di Sla della Sardegna si è spenta ieri all’alba nella sua casa di Sassari. Aveva 55 anni e dal 1997 conviveva, lottava e litigava ogni giorno con una delle malattie più terribili che si possano immaginare: paralizzata dal collo in giù, impossibilitata a parlare e a emettere qualsiasi suono, costantemente alle prese con complicazioni di ogni genere. Comunicava con gli occhi attraverso un sintetizzatore vocale, il suo amato “My Tobii”, che le permetteva di parlare, navigare su internet, scrivere fiumi di mail a chiunque le aprisse le porte della sua amicizia, che in poco tempo diventava inossidabile.

Quella con la Sclerosi laterale amiotrofica era una sfida quotidiana che Susanna, che prima della malattia faceva l’orafa e insegnava oreficeria al Liceo Artistico di Tempio, aveva affrontato con un coraggio e una determinazione al limite della sfrontatezza. «La malattia non mi ha annientato – amava dire –, ha solo cambiato la mia vita ma mi ha fatto diventare più forte. E ormai non sono io ad avere paura, è lei che mi teme». Spalleggiata da sua sorella Immacolata, un’altra forza della natura, sostenuta dalle infermiere Ica e Piera e dal professor Pino Vidili, primario di Anestesia all’ospedale civile, Susanna Campus dava libero sfogo alle sue passioni. Lo sport, innanzitutto: grande appassionata di calcio, basket e Formula Uno, tifosissima delle squadre della sua città, era una presenza fissa al PalaSerradimigni: dirigenti e giocatori della Dinamo la consideravano la “tifosa numero uno”. Prima e dopo ogni partita tra il parquet e il “suo” angolo, proprio sotto la tribuna stampa, c’era una vera e propria “processione” di giganti sudati, in canottiera e pantaloncini, che si avvicinavano per un saluto, una carezza, un bacio. Lei era orgogliosissima e allo stesso tempo divertita: «Guardali – disse una volta dopo una sconfitta – sono grandi e grossi ma io li metto in riga tutti. A partire dal coach. Stasera gli scrivo cosa non è andato in questa partita». Faceva lo stesso con i giornalisti: leggeva le pagelle, le commentava, discuteva, chiedeva un trattamento di favore per Manuel Vanuzzo, il suo preferito. La Dinamo le era così vicina che il giorno dopo lo scudetto Stefano Sardara, suo grande amico, le piombò in casa portando con sé la coppa e tutta la squadra.

Per cinque anni, dal 2012 sino a pochi mesi fa, ha tenuto un blog sulla pagina online della rivista Tempi, intitolato “Scritto con gli occhi”: «un diario né piagnucoloso né edulcorato di quella che è la quotidianità di un malato di Sla», ha scritto ieri il direttore della rivista nel suo messaggio di saluto.

Il racconto senza filtri delle sue piccole e grandi avventure quotidiane («mi hanno portata a fare un giro in riva al mare, ed è stato come rinascere»), la sua presenza a eventi sportivi e a manifestazioni pubbliche, avevano fatto di lei un personaggio conosciutissimo a Sassari e nel resto dell’isola, una vera paladina della lotta alla Sla.

Era grata alla tecnologia, senza la quale non avrebbe mai potuto avere rapporti verso l’esterno, ma tutto il resto era autentica farina del suo sacco: coraggio, cocciutaggine e soprattutto una voglia di vivere sconfinata. Strappando un giorno per volta alla malattia, ha resistito per vent’anni portando in giro il suo messaggio e il suo amore per la vita. Se non è una vittoria questa.

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