La Nuova Sardegna

Erika uccisa con ferocia inseguita e sgozzata

di Pier Luigi Piredda
Erika uccisa con ferocia inseguita e sgozzata

Le ricostruzioni effettuate attraverso le analisi dei Ris rivelano nuovi dettagli  Rifiutati i domiciliari per Dimitri Fricano, che non vuole essere trasferito a Nuoro

25 luglio 2017
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SAN TEODORO. Ha confessato il delitto del suo “amore”. Ha raccontato al magistrato di Biella di aver colpito Erika al culmine di un litigio per un motivo banalissimo, ma dopo una serie di screzi che nell’ultimo periodo si erano acuiti tra loro. Ma Dimitri Fricano, 30 anni, il commesso di Biella detenuto da due giorni nel carcere della città piemontese con la pesante accusa di omicidio volontario, non ha raccontato perché ha utilizzato due coltelli. Non ha spiegato perché, dopo aver trascinato per tutto l’appartamentino di Lu Fraili quella che nella sua confessione ha sempre definito “amore della mia vita”, strappandole i capelli a ciocche e sbattendola contro i mobili, quando lei è caduta ai piedi della cucina, lui ha preso dal ceppo un coltello ancora più grande di quello con il quale aveva colpito fino a quel momento Erika, quello che lei aveva usato per fare i panini per la gita in barca, e l’ha sgozzata. Un taglio netto, preciso, che le ha tranciato la carotide.

Una ferocia cieca. Una rabbia inaudita esplosa durante un banale litigio per le briciole del pane cadute sul pavimento. Briciole che i carabinieri specialisti del Ris hanno trovato inzuppate di sangue un po’ in tutto l’appartamentino. A conferma del fatto che Erika Preti, 28 anni, residente in un paesino vicino a Biella, che a lei dedicherà una piazza con un bel giardino pieno di fiori, è stata trascinata sanguinante dal suo fidanzato. Forse ha anche tentato la fuga.

Tracce di sangue sulle porte, sui tavolini, sul divano. Alla fine, stordita anche dai colpi che Dimitri le aveva sferrato alla testa con una grossa pietra soprammobile che c’era in casa, Erika si era accovacciata sul pavimento della cucina. Cercando riparo dietro una piccola parete in cemento, con le braccia insanguinate protese in avanti per difendersi dai fendenti che Dimitri le stava sferrando con quel coltello con il quale fino a pochi secondi prima lei aveva preparato i panini per la gita a Tavolara. A quel punto Dimitri si era trovato il ceppo dei coltelli davanti, ne aveva preso uno più grande e si era avventato su di lei. Sgozzandola.

«Le ho accarezzato il viso e sono uscito fuori dall’appartamento urlando, chiedendo aiuto» ha confessato il giovane al magistrato di Biella, davanti al quale si era presentato in compagnia di uno dei suoi difensori, l’avvocato Alessandra Guarini (l’altro è Roberto Onida del Foro di Olbia) e dell’investigatore privato ingaggiato dai suoi familiari per cercare la verità. Quella verità che Dimitri ha cercato di nascondere per oltre un mese, negando anche quando il procuratore della Repubblica di Nuoro, Andrea Garau, gli aveva detto: «L’assassino di Erika è un mancino e lei è mancino». Ma gli incubi e i rimorsi sono diventati insopportabili per Dimitri, che era stato così convincente da essere inizialmente riuscito a far credere ai genitori di Erika che non era stato lui a uccidere la ragazza. Tanto che il suo nome era stato inserito nei necrologi funebri appesi in tutto il paese.

Intanto, Dimitri Fricano resta in carcere. Il gip Paola Rava, del tribunale di Biella, ha convalidato l’arresto e gli ha anche negato gli arresti domiciliari richiesti dai suoi difensori. «Riteniamo che le condizioni psicologiche e le diverse problematiche di Dimitri, che assume diversi farmaci, siano incompatibili con la detenzione in carcere» hanno motivato la richiesta gli avvocati Alessandra Guarini e Roberto Onida. Nel frattempo, tutti gli atti eseguiti a Biella sono stati trasmessi alla procura di Nuoro, titolare dell'inchiesta. Il procuratore della Repubblica Andrea Garau non ha ancora svelato le sue mosse, ma è molto probabile che disponga il trasferimento di Dimitri Fricano nel carcere di Badu ’e Carros per interrogarlo. Trasferimento contro il quale si opporranno i due penalisti si opporranno «per le particolari condizioni di salute dell’indagato e perché i detenuti devono stare nella regione di appartenenza per stare più vicini ai familiari».

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