La Nuova Sardegna

Caseifici sardi alla guerra del Dop

Caseifici sardi alla guerra del Dop

I laziali vogliono abolire il marchio del Pecorino romano. Pinna: «Impossibile»

02 agosto 2017
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SASSARI. Non è solo una questione di forma. Per il Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop la guerra portata dai produttori laziali che vorrebbero l’abolizione del marchio di denominazione di origine protetta non ha speranza di sfondare. Il vicepresidente Andrea Pinna, della Fratelli Pinna di Thiesi: «È una richiesta che non può avere accoglimento a livello ministeriale, dato che si parla di un disciplinare che risale alla fine degli anni 70». In sintesi: i laziali contestano che una produzione che avviene quasi totalmente in Sardegna debba portare nel nome la parola “romano”. «Non chiedono di abolire il pecorino romano – spiegano – ma il marchio, ciò che impedisce loro di utilizzare la parola “romano”, per produrre ad esempio il cacio romano». In realtà è evidente come un mercato che tira come quello nordamericano (dove il formaggio di pecora, a differenza di quello vaccino, non paga dazio) e che è quasi del tutto in mano alle aziende sarde, faccia gola: «La Sardegna produce il 96-97% delle forme, le tre province laziali interessate e quella di Grosseto non hanno mai superato il 5-6%, negli anni la percentuale è addirittura diminuita. C’è quindi uno storico che parla a favore dell’isola – dice Pinna –. E secondo noi l’utilizzo della parola “romano” sarebbe ingannevole nei confronti del consumatore: un modo per appropriarsi di un brand che ha un riconoscimento internazionale ben preciso».

Paolo Mannoni, della Mannoni formaggi di Thiesi, ritiene che il Consorzio abbia sbagliato tattica nei confronti dei laziali: «Una ventina di anni fa una commissione di cui facevo parte riuscì a ripianare i dissidi già esistenti, accontentando i laziali su piccole questioni, come la marchiatura, che non incidevano su vendita e commercializzazione. Fu un accordo soddisfacente e non ci furono denunce per due decenni. L’errore fatto quest’anno è di multare il produttore di un formaggio venduto a Roma e recante l’etichetta “cacio romano”, affermando che non si poteva utilizzare la parola “romano”. A mio parere sono le due parole insieme “pecorino” e “romano” a non poter essere usate. Hanno insomma creato un casus belli, col rischio che se viene meno la regione d’origine di un prodotto (il Lazio) può essere revocato il marchio Dop». Insomma, per i sardi è stato un boomerang.

E ieri in Consiglio regionale è stato sollevato il problema grazie a un intervento di Gianfranco Congiu, capogruppo del Partito dei sardi, il quale ha sostenuto che ciò che è stato fatto sinora per difendere il marchio può anche andar bene, ma che ora c’è una aggressione diretta non più sul piano della concorrenza riguardante il marchio, ma per cancellare il marchio. Aggressione non capeggiata da pochi produttori, ma che vede al fianco dei laziali la Regione, la Coldiretti e istituzioni private e pubbliche del Lazio: per Congiu non si può lasciare solo il Consorzio contro un’aggressione che grida vendetta e la Regione sarda deve dire da che parte sta». Gli ha risposto l’assessore all’Agricoltura, Pier Luigi Caria: «L’impegno per difendere il consorzio – ha detto – sarà totale, l’abbiamo già sostenuto quando ci fu la vicenda del cacio romano e lo faremo a maggior ragione ora che in maniera inopinata alcuni vorrebbero cancellare una delle basi della nostra produzione agricola, la più importante e conosciuta al mondo». (a.palm.)



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