La Nuova Sardegna

Piantagioni di fichi d’India, l’isola scopre una miniera

di Luciano Onnis
Piantagioni di fichi d’India, l’isola scopre una miniera

Sempre di più coloro che puntano su un frutto snobbato sino a pochi anni fa Nel Campidano e nel Nuorese sono nate diverse aziende supportate da Agris

10 settembre 2017
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SERRENTI. Se solo una decina di anni fa un contadino o un imprenditore agricolo avessero reso noto di voler impiantare “un ficodindieto”, molti avrebbero strabuzzato gli occhi per poi dargli del matto. «Ma come, di fichi d'India ne abbiamo piene le campagne e tu vai a coltivarli?» sarebbe stata la considerazione più facile e per certi versi logica, ma che è diventata nel tempo opinabile. La prova è che in numero crescente i lavoratori della campagna ci stanno facendo un pensierino.

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La coltivazione di questo frutto, in una terra come la Sardegna che già li produce spontaneamente, sta mettendo radici nel vero senso della parola e cominciano a sorgere ed estendersi in più territori, soprattutto nel Medio Campidano, piantagioni di opuntia ficus-indica impiantate a fini commerciali. Un tempo i fichi d’India erano considerati buoni giusto per il fabbisogno alimentare dei poveri, spesso solo per sfamare i maiali in alternativa (gratuita) a ghiande e fave secche, nell'allevamento suino gli alimenti più economici dopo gli avanzi delle tavole familiari.

Adesso li stiamo riscoprendo: sono buoni da mangiare freschi, per fare marmellata, liquori e sapa, fanno benissimo alla salute per le loro molteplici proprietà. Costituiti principalmente da acqua, ricchi di fibre, aiutano a dimagrire, favoriscono il transito intestinale, abbassano il colesterolo cattivo. Energetici, ipocalorici (50 calorie per cento grammi), sono sazianti e allontanano quindi lo stimolo della fame. Oggi sono un frutto di nicchia, agriturismo e ristoranti li presentano a tavola in vari modi.

In Sicilia ben 2.400 ettari di terreno incolti e diversamente coltivati sono stati riconvertiti a ”ficodindieto” con tecniche colturali rispecchianti comunque la produzione spontanea. Anche in Sardegna, dove il fico d’India prolifera al pari di Sicilia, Campania e Puglie per via del clima favorevolissimo, si comincia praticare una coltivazione lineare, finalizzata non solo alla commercializzazione alimentare ma anche a un utilizzo del frutto, dei suoi semi e delle pale delle piante nei settori nutrizionale, dietetico e perfino cosmetico.

Nel Medio Campidano operano già da diversi anni tre piccole aziende a conduzione familiare, altre se ne stanno aggiungendo: Giuseppe e Gianni Podda a Villacidro (padre e figlio), Silvia Medda a Serrenti, Gian Battista Atzeni a Sardara, altri a Villasor, Uta, Decimomannu e Dolianova. Così anche a Dualchi, nel Nuorese, dove è addirittura l’amministrazione comunale a promuovere una coltivazione incentivata. Un ruolo importante lo sta ricoprendo l’Agris Sardegna, agenzia regionale per la ricerca e innovazione in agricoltura, che con i suoi tecnici supporta sul campo gli imprenditori agricoli che si sono avventurati in questa nuova coltura frutticola.

Fulvio Tocco, tecnico dell’Agris che da presidente della Provincia del Medio Campidano aveva avviato il recupero delle terre incolte con il progetto Vivere la Campagna (copiato di sana pianta da altre regioni italiane), gira per i territori per seguire le innovative piantagioni. «Madre natura ha dotato la Sardegna di risorse immense – dice – . Per migliorare la condizione sociale ed economica c’è bisogno di ingrandire e utilizzare queste ricchezze. E il fico d’India, fra le altre produzioni tipiche della nostra terra, apre prospettive straordinarie nella produzione frutticola. Ma c’è bisogno del supporto della Regione con piani straordinari di immediata implementazione, in aggiunta al Psr. I coltivatori vanno supportati e incentivati, spetta alla classe politica provvedere».

Grande soddisfazione anche da parte di Roberto Zurru, direttore generale di Agris, da subito pronto a credere e seguire Fulvio Tocco nell’esperienza colturale della opuntia ficus-indica. «Siamo più che soddisfati di queste sperimentazioni portate avanti nel campo agronomico – precisa Zurru –, anche i collaudi fatti nel territorio dagli imprenditori che si sono avventurati in questa coltura sono positivi, per quantità e qualità. C’è interesse e c’è un mercato, ma siamo indietro rispetto alla Sicilia nell’organizzazione della filiera, bisogna pensare a creare un sistema che porti il prodotto sul mercato nelle forme e nei modi in grado di attrarre il consumatore».
 

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