La Nuova Sardegna

Nell’etichetta della pasta anche l’origine del grano

Nell’etichetta della pasta anche l’origine del grano

Lo ha deciso un decreto del ministero delle Politiche agricole attivo da febbraio Confartigianato: «Utile purché non generi intoppi burocratici ai produttori»

19 settembre 2017
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Anche in Sardegna i mulini e i pastifici, produttori di paste secche dovranno indicare, nelle confezioni, l’origine del grano duro utilizzato per i prodotti. Una garanzia di trasparenza nell’indicazione di origine decisa da un decreto interministeriale del ministero delle Politiche Agricole e dello Sviluppo Economico che obbliga le imprese a specificare in etichetta la provenienza della materia prima.

L’Atto, il numero 191 pubblicato in Gazzetta Ufficiale ad agosto, che comunque non riguarda la pasta fresca e stabilizzata, entrerà in vigore il 17 febbraio per tener conto della complessità di avviare un sistema di tracciabilità interna del grano nelle semole e, da queste, nella pasta. Secondo quanto prescritto, le indicazioni di origine vanno apposte in etichetta in un punto visibile e leggibile chiaramente dal consumatore, specificando il Paese dove è stato coltivato il grano duro e il Paese dove è stata prodotta la semola, ingrediente primario della pasta. Nel caso in cui i prodotti provengano da diversi Paesi allora potranno utilizzarsi le dizioni alternative “UE”, “non UE” o “UE e non UE” per indicare l’origine rispettivamente da Paesi membri dell’unione europea, o situati fuori o a cavallo dei confini. «La tracciabilità e la trasparenza sono elementi fondamentali soprattutto nella nostra regione – commenta il Presidente di Confartigianato Sardegna, Antonio Matzutzi – ma non vorremmo che il decreto si trasformasse nell’ennesimo balzello e si rivelasse un intoppo burocratico, considerate le normative europee sufficientemente restrittive. Ricordiamo che lo stesso legislatore europeo ha già fatto presente come i costi derivanti sarebbero superiori ai benefici dei consumatori e degli stessi produttori. In ogni caso, riteniamo opportuno, e importante, informare le imprese – continua Matzutzi – affinché possano adeguarsi in tempo alle nuove regole. La nostra isola, infatti, in questo campo ha enormi possibilità di sviluppo e, per questo, i prodotti dovranno rispondere a un mercato globale. Ricordiamo che, se nel frattempo non interverranno le ventilate procedure di infrazione nei confronti dell’Italia – conclude Matzutzi – l’obbligo dell’etichettatura entrerà pienamente in vigore a febbraio e che per le aziende sarà indispensabile conoscere l’ambito dell’applicazione del decreto».

Ma qual’è il panorama delle imprese del settore della pastificazione?

Sono 270 le imprese della pastificazione alimentare in Sardegna che danno lavoro a più di 1.300 persone: una azienda ogni 6.141 abitanti. Nell’isola si concentra il 6,5% di tutte le imprese italiane del settore. Di queste realtà, ben 222 (l’82%) sono attività artigiane che producono culurgionis, panadas, malloreddus, frégula, semola per cuscus, ravioli, coccoi prena, lorighittas, filindeu ma anche numerosi altri tipi di pasta fresca e secca, tutte eccellenze del food made in Sardegna inserite nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali del ministero delle Politiche agricole e alimentari oppure tutelate da marchi europei, come accaduto da poco per i culurgionis con l’IGP. Aziende che, sempre più frequentemente, utilizzano prodotti a chilometro zero o certificati “bio” e che guardano attenzione alle esigenze dei consumatori italiani e, soprattutto, di quelli internazionali, notoriamente molto esigenti in fatto di ecosostenibilità delle produzioni.

Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative