La Nuova Sardegna

Processo per i delitti di Orune e Nule: sms choc tra Pinna e Cubeddu

di Pier Luigi Piredda
Paolo Pinna e Alberto Cubeddu
Paolo Pinna e Alberto Cubeddu

Spunta anche la foto del funerale di Gianluca in risposta agli auguri per il compleanno 

22 settembre 2017
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NUORO. «Auguri, buon compleanno». Queste le parole del messaggino che Alberto Cubeddu aveva inviato, via whatsApp, al cugino Paolo Pinna il 4 gennaio 2016 per i suoi 18 anni. La risposta del ragazzino era stata terribile, così tanto che anche il cugino era rimasto stupito e l’aveva quasi sgridato con un laconico: «Ma cose da mandare sono queste?». La risposta di Paolo Pinna, 18 anni, di Nule, condannato a 20 anni di carcere, il massimo della pena del Tribunale dei minori, per il delitto di Gianluca Monni a Orune e la scomparsa-omicidio del compaesano Stefano Masala, agli auguri del cugino era stata dirompente. Non una parola di ringraziamento ma soltanto una fotografia: quella dei funerali di Gianluca Monni, celebrati a Orune a maggio dell’anno prima.

Foto choc. A raccontare questo raccappricciante particolare di un’inchiesta lunga, complicata e dolorosa è stato un maresciallo dei carabinieri che insieme agli altri colleghi del Reparto operativo del Comando provinciale di Nuoro ha svolto le indagini sul delitto di Orune e sulla scomparsa-omicidio di Nule. Indagini che, dopo quasi un anno, hanno permesso di assicurare alla giustizia i due presunti responsabili: i cugini Paolo Pinna, 18 anni, di Nule già condannato in primo grado con rito abbreviato, e Alberto Cubeddu, 21 anni, di Ozieri, a processo davanti ai giudici della Corte d’assise di Nuoro. Appena ricevuta quella foto, Alberto Cubeddu aveva sgridato Paolo Pinna: «Cose da mandare sono?». Ma Pinna spavaldo aveva risposto: «E perché?». Aggiungendo però subito dopo una frase che fa comprendere lo stato d’animo del ragazzino che cercava a tutti i costi di dimostrarsi duro: «A giorni non so nemmeno chi sono». Ma era stato il tentennamento di un momento, perché aveva subito ritrovato la freddezza e così i due avevano continuato a messaggiare soffermandosi sui particolari della foto: «Quella con i fiori chi è, la fidanzata?» aveva chiesto Cubeddu. E Pinna: «No no». «E quella con gli occhiali la mamma» e via così per uno scambio di messaggi che si era protratto per qualche minuto.

Il processo. Parole pesanti come macigni quelle lette dal maresciallo in un’aula della Corte d’assise pietrificata dall’orrore, nella quale ieri non era presente l’imputato Alberto Cubeddu. Pare per motivi di salute, ha preferito restare in carcere a Sassari ed evitare il viaggio fino a Nuoro visto che ancora non è stato perfezionato il suo trasferimento nel penitenziario di Badu ’e Carros per tutta la durata del processo, come disposto dal presidente della Corte d’assise, Giorgio Cannas, a latere Antonella Useli Bacchitta. Un’udienza molto tecnica, quella di ieri. Due soli i testimoni dell’accusa sentiti dalla Corte: il perito che ha eseguito le perizie sui telefonini e sugli apparati informatici sequestrati a Paolo Pinna e Alberto Cubeddu e poi il maresciallo del Reparto operativo. Il perito è stato incalzato soprattutto dalle domande degli avvocati Mattia Doneddu e Patrizio Rovelli, difensori di Alberto Cubeddu, che hanno poi tirato fuori le unghie quando hanno cominciato a pressare il maresciallo dei carabinieri, che però non ha mai tentennato e risposto punto su punto a tutti i quesiti. Un interrogatorio lunghissimo, protrattosi per oltre tre ore e che andrà avanti nella prossima udienza del 5 ottobre.

Il super teste. Gli interrogatori dei due hanno fatto saltare il programma dell’udienza e, soprattutto, l’interrogatorio di uno dei testi più importanti di tutta l’inchiesta sul delitto di Gianluca Monni: la ragazza di Orune che la mattina dell’omicidio del compaesano diciottenne aveva visto in faccia il passeggero della Opel Corsa grigia rubata la sera prima al povero Stefano Masala, che per questo era stato ucciso, e utilizzata dai killer per raggiungere Orune da Nule. La ragazza in diverse ricognizioni fotografiche non aveva avuto dubbi nel riconoscere Alberto Cubeddu come il passeggero dell’utilitaria che quella mattina, dopo aver incrociato lo sguardo con lei, le aveva anche fatto un gestaccio. Forse la ragazza sarà interrogata nella prossima udienza quando in aula dovrebbe esserci anche Alberto Cubeddu.

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