La Nuova Sardegna

Paolo Maninchedda: «L’indipendenza della Sardegna è la meta»

Paolo Maninchedda: «L’indipendenza della Sardegna è la meta»

L’ex assessore: «Ci alleiamo con chi vuole potere, diritti e ricchezza per i sardi». E punzecchia Pigliaru: «Ora affronti il nodo dell’Agenzia delle entrate sarde»

15 ottobre 2017
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SASSARI. Il futuro della giunta Pigliaru passa dalle sue mani. Dai sei consiglieri che il Partito dei sardi ha in aula. Ma Paolo Maninchedda, il leader del Pds, quasi non si cura del clima di alta tensione in aula, preferisce parlare di programmi e indipendenza. Ma subito sgombra il campo da chi lo accusa di voler far cadere la giunta. «Noi non tradiremo mai il patto fatto con gli elettori». Poco spazio alle polemiche che infiammano l’aula.

Cosa pensa del referendum sull’insularità?

«Ha una sua utilità, certifica che i sardi non stanno bene in questa repubblica italiana. È banale dire che la Sardegna è un’isola. Chi firma lo fa per evidenziare il suo malcontento, non certo per dire che vivono in un’isola, sul resto si può discutere. Noi puntiamo all’indipendenza della Sardegna, ma occorre un lungo percorso».

Secondo lei quale è la via per arrivare all’indipendentismo?

«Faccio un esempio di cui si è parlato molto in questi giorni: la Catalogna. Come dice Franciscu Sedda la costruzione dell’unità di un popolo passa dalla condivisione dei simboli. I catalani hanno fatto molto bene questo e la mobilitazione. Hanno creato una coscienza di popolo, ma sottovalutato la costituzione. Il partito dei sardi è convinto che l’indipendenza della Sardegna ha un tasso inevitabile di gradualità. Va costruita progressivamente, legalmente e con consenso maggiori poteri. Per questo per le prossime elezioni noi diciamo a tutti, anche al peggiore avversario che mi attacca più volte ala giorno. Non mi interessa se mi attacca, mi interessa che lui concordi con me su alcuni punti fermi. Che nella prossima legislatura noi guadagniamo un incremento di poteri, un incremento di diritti dei sardi e un incremento della ricchezza prodotta. Se moltiplichiamo gli incrementi una legislatura dopo l’altra, la costruzione dell’indipendenza avverrà in modo naturale e consensuale».

Siete per la costruzione di un polo indipendentista?

«L’80 per cento dei sardi vota partiti italiani. È illogico dire che sbagliano. È più opportuno dire loro troviamoci su un progetto che aumenti i poteri della Sardegna e i diritti dei sardi e la ricchezza dei prodotti. Si deve essere per la Sardegna in modo chiaro. In un incremento di poteri, diritti e ricchezza».

Ma alcuni temi sono già stati affrontati in questa legislatura, come l’Agenzia sarda delle entrate

«Ma non è andata a buon fine, perché è stata impugnata dal consiglio dei ministri. L’Agenzia è un argomento proposto all’elettorato e nei programmi della giunta. Al contrario l’azienda unica sanitaria, che è un grandissimo errore, non ha un mandato elettorale. Il ritiro degli accantonamenti, altro errore, non ha un mandato elettorale. Questo non vuol dire che un presidente della Regione non possa andare al di là di questo. Ma esiste una gerarchia. Ora ci sono tanti incontri del presidente a Roma su accantonamenti, Ats, continuità, si è messa da parte la questione Agenzia delle entrate sarde. Il tema non lo merita? Andiamo a vedere la vera natura dei referendum di Lombardia e Veneto. Il vero tema è fiscale, è la conoscenza dei flussi è tutto. Il governo ha impugnato capziosamente questa legge. Noi abbiamo detto al presidente che sugli accantonamenti non condividiamo al sua posizione e sull’Agenzia esigiamo un impegno di pari livello del governatore».

Lei vuole far cadere la giunta?

«È ragionevole che un partito che vuole unire i sardi lo faccia sfasciando la maggioranza in cui milita? Noi vogliamo pensare alle prossime elezioni con una alleanza più ampia di quella in cui siamo e più rappresentativa dei sardi. Essere alleati non vuol dire essere complici, non vuol dire che qualunque cosa si faccia la si condivida per militanza. Non è così. Per noi la nostra coerenza a si misura sull’interesse pubblico della Sardegna. Noi non romperemo mai il vincolo con gli elettori. Oggi però c’è un punto della agenda elettorale disatteso, ed è l’Agenzia delle Entrate e su quello si deve mettere rimedio. Sugli accantonamenti abbiamo un’idea diversa, ma di questo non si era parlato con l’elettorato. Non capisco perché quando pone un problema un esponente del Pd si apre un dibattito, quando lo apriamo noi si vuole fare cadere la giunta. È un modo per impedirci di ragionare».

Quale rapporto si deve avere secondo lei con lo Stato?

«Il rapporto con lo Stato italiano per noi va interpretato in chiave competitiva, per lui la chiave è collaborativa. I fatti dimostrano che sicuramente è evidente la buona fede del governatore nella trattative sulle entrate, ma rivela la non buona fede del governo. Che aveva promesso di non ripetere gli accantonamenti e lo ha fatto dalla manovra successiva. Altro esempio sono le servitù militari. Il presidente della commissione sull’Uranio Gian Piero Scanu ha chiesto di mobilitarsi perché hanno inquinato la nostra terra in modo grave e il governo fa fare nuove esercitazioni. Abbiamo ragione noi?».

Ma lei crede ancora all’Anas sarda?

«Certo. L’Anas nazionale, quella di Armani, ha in pancia un portafoglio Sardegna di circa 2 miliardi. Io sostengo che alla Sardegna conviene prendersi in carico la rete della strade provinciali e statali e gestire i fondi di sviluppo e coesione dell’Anas e riprendersi i tributi attualmente versati dai sardi e incassati dallo Stato. Secondo altri questo non è utile».

Cosa ne pensa della legge urbanistica?

«Io ho una posizione personale molto chiara. Io sono contrario sia a chi dice che Francesco Pigliaru e Cristiano Erriu sono due cementificatori, questa è una grande bugia. Sia a chi dice che il gruppo che sta intorno all’ex presidente del Fai Maria Antonietta Mongiu sia fatto di estremisti. Non è vero. È un gruppo di persone competenti. La mia posizione personale è che sulla fascia dei 300 metri bisogna consentire le ristrutturazioni a chi non le ha ancora fatte. Stop. Nei 300 metri non si deve fare altro. Né progetti grandi, né piccoli. I mega progetti devono arretrare dalla fascia dei 300 metri e stare dentro i Puc. Chi non ha più cubatura non può costruire. Detto questo il 90 per cento dei sardi ha bisogno di una legge per cui se uno deve costruire un bagno o un terrazzino non debba compilare tonnellate di carte e richieste e chiedere il permesso a 4 autorità. Il 90 per cento della Sardegna ha voglia di fare un capanno in campagna».

Le piace la riforma della rete ospedaliera?

«Secondo noi si doveva fare prima la rete delle urgenze, poi quella territoriale e solo alla fine quella ospedaliera. Eravamo contrari all’Ats, volevamo tre Asl. La rete ospedaliera ha forti privilegi metropolitani. La Sardegna è un sistema di piccoli insediamenti con tre grandi città. Ci sembra in crisi la salute nei piccoli centri. I nostri emendamenti hanno rafforzato i presidi in aree metropolitane». (l.roj)

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