La Nuova Sardegna

Gli “unionisti” sardi: «Noi ci sentiamo italiani»

di Alessandro Pirina
Gli “unionisti” sardi: «Noi ci sentiamo italiani»

Vargiu, Riformatori: per l’isola la secessione sarebbe un autogol economico Satta, Upc: la vera autonomia è dare più poteri ai Comuni e meno alla Regione

17 ottobre 2017
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SASSARI. Leggendo le cronache delle ultime settimane sembra che la Sardegna sia pronta a dire addio all’Italia. La febbre catalana ha contagiato anche l’isola. A destra, a sinistra, oltre ovviamente tra gli indipendentisti, è tutto un susseguirsi di endorsement a favore della causa catalana. Nei giorni del referendum sulla Rambla sventolavano decine di Quattro mori in rappresentanza delle varie sigle del mondo indipendentista isolano. A Barcellona non è voluto mancare nessuno: c’erano il Psd’Az, il Partito dei sardi, Liberu, Irs, Sardigna Natzione, Progres, addirittura Forza Italia con l’algherese Marco Tedde. Tanto che anche oltre Tirreno si è cominciato a cercare parallelismi tra la Sardegna e la Catalogna. Su Facebook si è sbilanciato anche Enrico Mentana che ha parlato dei sardi come gli unici potenziali indipendentisti d’Italia, mentre la scrittrice Barbara Alberti, in una trasmissione Rai, ha augurato all’isola di diventare al più presto uno Stato autonomo. Ovviamente però anche in Sardegna a chi si proclama indipendente si contrappone chi non ha alcuna intenzione di fare la secessione dall’Italia. Ancora parlare di unionisti come in Spagna è forse prematuro, ma, chissà, qualora la questione indipendentista dovesse diventare di primo piano, allora anche tra i sardi potrebbero nascere gruppi a difesa della unità del Paese. I Riformatori, per esempio, da qualche settimana stanno raccogliendo le firme per il referendum per l’inserimento dell’insularità nella Costituzione. L’obiettivo è una Sardegna più forte, ma all’interno dell’Italia.

Rischio autogol. «Quando sento parlare di indipendenza vedo un solo rischio: che ce la diano veramente». Il deputato dei Riformatori, Pierpaolo Vargiu, esordisce con una battuta, ma si fa subito serio e spiega il perché oggi staccarsi dall’Italia sarebbe, a suo avviso, un errore irrimediabile. «Nei giorni scorsi ero in Veneto, ai banchetti per il referendum del 22 ottobre ti danno un libretto in cui sono indicati i residui fiscali positivi e negativi regione per regione – racconta –. La Lombardia è prima con 5.300 euro di residuo fiscale positivo per abitante, noi siamo ultimi con un residuo fiscale negativo di oltre 3mila euro pro capite. Ecco perché oggi parlare di indipendenza sarebbe un autogol dal punto di vista economico».

Insularità. Vargiu si sente sardo, ma anche italiano ed europeo. «Mio nonno ha dato il sangue sul Carso per l’unità dell’Italia, non posso dimenticarlo. E sono anche un europeista convinto. Ovviamente però la mia identità sarda è fortissima e ci stiamo battendo perché questa identità venga percepita come un elemento positivo. L’inserimento dell’insularità in Costituzione servirà ad assicurarci pari opportunità e pari diritti di cittadinanza. I sardi potranno passare dalla cultura della assistenza a quella della responsabilità. Sarà l’occasione per dimostrare il nostro vero valore». «Esiste una esigenza di allineare i nostri valori a quelli delle altre regioni – aggiunge il consigliere regionale dei Riformatori, Luigi Crisponi –. Colmare questo gap equivarrebbe a costruire un ponte con la terraferma. Ma sempre rimanendo all’interno dell’Italia».

Più poteri ai Comuni. «Profondo rispetto per chi vuole l’indipendenza, ma sarebbe una scelta sbagliata». A parlare è Antonio Satta, leader dell’Upc e sindaco di Padru. «Lavoriamo per l’Europa e vogliamo sfasciare il Paese? Non avrebbe senso. In realtà, noi dobbiamo puntare a una autonomia più forte, in particolare per le comunità locali. Le regioni, tutte, dovrebbero rimanere come enti di indirizzo e di controllo. A gestire le risorse dovrebbero essere le autonomie locali, che sono quelle più vicine ai cittadini. Non è più pensabile che singoli assessori regionali decidano loro a chi dare i finanziamenti. Io da assessore regionale tolsi i soldi all’assessorato per darli ai Comuni ed evitare loro la bancarotta. Questo vuole dire autonomia, vera indipendenza. Non può esistere che sia la Regione a prendere tutto. Sono gli enti locali che devono essere i protagonisti dello sviluppo». Per Satta, dunque, più che a una nazione sarda bisognerebbe puntare a una Sardegna dei Comuni all’interno dell’Italia e dell’Europa. «Io non dico che bisogna annullare le regioni, ma che bisogna dare ai Comuni il ruolo che spetta loro. Solo se l’ente locale funziona davvero, solo se si danno risorse vere per programmare si può arginare lo spopolamento. Invece, oggi si tende a cancellare i Comuni, associando le loro funzioni. Cosa che in realtà comporta solo spese in più».

Sardo d’Italia. Così si definisce Bruno Murgia, deputato nuorese iscritto al gruppo di Fratelli d’Italia. «Sono un autonomista convinto e dico no all’indipendenza. A me piace molto la figura di Attilio Deffenu che cadde combattendo da sardo per l’Italia. Io ritengo si possa costruire un’idea di Sardegna senza minare i principi di unità. Credo nella cultura e nella specificità dei sardi e mi rendo conto quanto sia sentita l’esigenza che venga tutelata maggiormente la loro identità. Ma sinceramente io mi sento nuorese a Cagliari, sardo a Roma, italiano a Parigi o Londra. Siamo fatti di strati. Al di là di qualche sardista folgorato sulla via dell’indipendentismo noi sardi, per quanto fieri delle nostre radici, crediamo nell’unità».

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