La Nuova Sardegna

Latte e formaggi in crisi la chiave è programmare

Latte e formaggi in crisi la chiave è programmare

Nella riunione di Banari organizzata da Coldiretti si studiano nuovi modelli Gli esperti: altre imprese hanno aumentato i litri e i loro prezzi sono stabili

17 ottobre 2017
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BANARI. È la programmazione ciò che manca al mercato caseario sardo alle prese con la crisi del crollo del prezzo del latte. Si tratta del concetto più significativo emerso a Banari dal convegno sull’Agricoltura sarda, in cui si tira il bilancio dell’annata del comparto lattiero caseario, promosso da Coldiretti, il Comune e l’associazione Corale. «Per cambiare direzione è necessario dirci la verità altrimenti fra due anni saremo qui a parlare degli stessi problemi. Non possiamo chiudere gli occhi e non dire che c’è qualcuno che ha indotto la crisi del pecorino romano e ci ha speculato sopra» ha affermato il direttore di Coldiretti Sardegna Luca Saba a una platea di 150 pastori provenienti da tutta la Sardegna. Saba ha parlato di una speculazione realizzata nel marzo 2016 con la «bufala della sovrapproduzione di 100 milioni di litri, proprio quando il prezzo del Pecorino romano cominciava a decrementare».

Secondo il professore dell’Università di Sassari Roberto Furesi «serve programmazione altrimenti il mercato ci cade addosso e continueremo a vivere nell’incertezza con i continui cicli di crollo e rialzo del prezzo del Pecorino romano che si alternano ogni 3-4 anni». Giuseppe Pulina, altro docente dell’ateneo, ha dimostrato come l’Italia si trovi «in affanno rispetto ai concorrenti (Grecia, Spagna e Francia) nonostante sia la maggiore esportatrice di formaggi nel mondo con il 36%». Il motivo? I competitor hanno diminuito il numero di capi ed aumentato la produzione di latte. E anche il prezzo segue un trend positivo costante. «In Sardegna invece il grafico dei prezzi è un elettrocardiogramma impazzito. Inoltre produciamo meno latte: -0,6% in Italia, dove l’isola è leader». Eppure nel mondo la richiesta di latte ovino cresce: «Dal 1960 al 2017 la produzione è cresciuta del 3,8% all’anno. E nel 2030 sarà salita di un ulteriore 7,6 %».

L’industriale caseario Giommaria Pinna, parlando dell’andamento del prezzo e delle produzioni di Pecorino romano e del latte degli ultimi anni, ha affermato che «l’ingordigia di alcuni trasformatori ha portato alla troppa produzione di Pecorino romano e dunque alla crisi ed al crollo del prezzo. Ma il mercato regola tutti – ha detto –. Il prezzo è crollato e le vendite sono volate: da maggio il mercato si è invertito e le prospettive sono buone». E afferma che «occorre diversificare e promuovere prodotti alternativi al Romano. Il Pecorino sardo, una dei tre formaggi Dop sardi, non decolla. Se ne producono solo 20 mila quintali, quanto il Pecorino romano venduto in un mese. Non ha attrattiva, non ha valore aggiunto. Per questo occorre incanalare le risorse su progetti virtuosi. Anche quest’anno si è intervenuto in forte ritardo e i milioni di euro messi a bilancio per il settore non porteranno reddito».

L’assessore regionale all’agricoltura Pier Luigi Caria risponde affermando che «abbiamo stanziato 45 milioni per i pastori perché volevamo metterli in sicurezza». E ricorda che la Regione è intervenuta anche per le emergenze in altri settori: «Abbiamo firmato con le organizzazioni agricole un protocollo di intesa in cui ci sono 20 milioni di euro della finanziaria che sarà approvata a dicembre». E riguardo alla programmazione: «Si lavora su raccolta dati, diversificazione, sul consolidare i mercati e ricercarne di nuovi. Lo vogliamo fare con tutti gli attori della filiera. Per questo stiamo convocando gli stati generali dell’agricoltura». (a.palm.)

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