La Nuova Sardegna

Marco, malato di Sla: il sesso è un diritto negato

di Silvia Sanna
Marco, malato di Sla: il sesso è un diritto negato

Nuorese di 49 anni sollecita l’istituzione delle assistenti per i disabili

18 ottobre 2017
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SASSARI. Dice di essere fortunato, perché lui l’amore e il sesso li ha conosciuti. Quando è arrivata la diagnosi di Sla, nel 2010, Marco Pedde era già padre di Giulio, che oggi ha 13 anni. Tanti disabili, invece, scoprono di essere ammalati prima ancora di vivere un rapporto intimo. Che come dice Marco, non è fatto solo di sesso, ma anche di sguardi, carezze, affetto, condivisioni, contatto. Ed è un diritto, sancito dalla convenzione dell'Onu per i diritti dei disabili alla sessualità: «L’Italia è firmataria di quella convenzione – spiega Marco – ma nonostante questo nel nostro Paese, a differenza di quanto accade in mezza Europa, non c’è una legge sugli assistenti sessuali». Cioè le figure professionali che possono aiutare i disabili a vivere la sessualità oltre le barriere dell’handicap. Marco, ex barista nuorese di 49 anni, fa un appello alle istituzioni: «Tiriamo fuori il disegno di legge fermo al Senato dal 2014, il diritto alla sessualità è un segno di civiltà».

La storia di Marco. La malattia sta lentamente imprigionando il suo corpo ma non lo spirito. Marco Pedde è un uomo intelligente e ironico. E ha una enorme voglia di vivere. Il suo sguardo al futuro è positivo e dopo la botta iniziale ha imparato a costruirsi una seconda vita modellandola in base alla malattia. Marco è passato da una condizione di assoluta autonomia a un’altra di immobilità fisica nella quale dipende totalmente dagli altri. E sono questi altri – badanti, assistenti, medici, parenti e molti amici – ad accompagnarlo quando va dal barbiere, in pizzeria, oppure allo stadio a vedere il Cagliari o a Sassari per la Dinamo. «Rastelli esonerato? È giusto, ne troveremo uno più forte – dice Marco – Oddo è bravo ma non è molto simpatico». L’importante è che porti la squadra alla vittoria, però. E che oltre al Cagliari anche la Dinamo continui a infilare canestri su canestri. Nella sua camera da letto c’è la foto dello striscione “Marco Pedde uno di noi” sventolato dai tifosi biancoblu al Palazzetto quando, nel gennaio 2013, era stato tracheotomizzato. E nei ricordi si affaccia Susanna Campus, anche lei colpita dalla Sla e scomparsa di recente: «Un’amica, una donna coraggiosa». Tra la passione per lo sport, i viaggi sino a quando ha potuto e gli amici, Marco cerca di vivere il più normalmente possibile. Il suo ottimismo è contagioso, al punto che opera come consulente per l’Aisla, l’associazione italiana della Sla, con un ruolo preziosissimo: incoraggiare gli altri malati che non hanno la sua forza, spiegare che un’altra vita è possibile. Ma c’è qualcosa che manca: «La sessualità, quella felicità impossibile per tante persone disabili. Un diritto negato che aumenta la condizione di disagio che si cerca di affrontare nel migliore dei modi.

L’appello. Marco Pedde ha un filo di voce e parla piano. Scandisce le sillabe, a volte fa un po’ di fatica ma quello che dice arriva forte e chiaro. Accanto a lui, nella casa di Nuoro dove vive con la madre e i badanti H24, c’è Rosa Puligheddu, la sua ex compagna e madre di suo figlio. Rosa è referente per l’Aisla di Nuoro e provincia ed è una presenza costante nella vita di Marco. Lo aiuta a trasmettere il suo messaggio, le sue critiche «a un Paese che ti costringe a uscire dai suoi confini per esercitare diritti riconosciuti». L’ex barista pensa al fine vita, a chi stanco di soffrire è dovuto andare all’estero. E pensa a chi, per vivere la sessualità, deve andare nei paesi stranieri dove la figura dell’assistente sessuale, indispensabile per chi ha un handicap che lo inchioda alla sedia a rotelle, è riconosciuta da tempo. «Qualcuno può pensare che il diritto al sesso sia meno importante. Al contrario, un rapporto intimo che va oltre l’atto sessuale, fatto di complicità e tenerezza, è fonte di piacere. Ed è sbagliato e crudele negarlo.

Ecco perché Marco Pedde ha deciso di combattere: «Voglio che riparta la discussione in Parlamento, che le istituzioni si diano una mossa. Voglio che la gente capisca che questo non è e non deve essere un argomento tabù. Io ne parlo tranquillamente a casa, con la mia famiglia. Tutti mi sostengono. Perché la ricerca della felicità non può essere mai una vergogna».

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