La Nuova Sardegna

A Mesina 6 anni e 8 mesi per estorsione e usura

di Nadia Cossu
A Mesina 6 anni e 8 mesi per estorsione e usura

A Pierluigi Meloni, ex direttore del Banco di Sardegna di Sassari, 5 anni di pena

16 novembre 2017
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SASSARI. Gli avvocati difensori per ore hanno tentato di dimostrare che Graziano Mesina e Pierluigi Meloni non erano usurai, tanto meno estorsori. Ma le tesi di Maria Luisa Vernier e Agostinangelo Marras non devono aver convinto il giudice Michele Contini che nel tardo pomeriggio di ieri ha condannato l’ex primula rossa del banditismo sardo a sei anni e otto mesi di carcere e l’ex direttore di una filiale del Banco di Sardegna di Sassari a cinque anni. Assolto invece, come chiesto dal pm, il terzo imputato Giovanni Filindeu (autista di Mesina difeso da Rinaldo Lai e Beatrice Goddi) da entrambe le accuse.

Secondo il giudice, quindi, Mesina e Meloni si comportarono da strozzini con l’imprenditore sassarese Marco Milia che si era rivolto all’allora responsabile di un’agenzia del Banco di Sardegna per avere un prestito di 40mila euro. Salvo poi scoprire che ne doveva restituire diecimila in più e non alla banca ma a Grazianeddu. «Mediante minaccia – scriveva il pm – costringevano Milia ad accettare l’accordo usurario e a consegnare loro le somme». Il tutto «in termini perentori, sfruttando la fama che precedeva Mesina, tale da incutergli timore per la propria incolumità».

Nella decisione del giudice hanno prevalso quindi le certezze della Procura, le argomentazioni alla base della requisitoria del pm Angelo Beccu che alcuni giorni fa aveva chiesto la condanna dei due imputati. Una pena, a dire il vero, più lieve rispetto a quella inflitta ieri dal gup. Il sostituto procuratore Beccu aveva infatti chiesto la condanna solo per l’usura: quattro anni e due mesi per Mesina e due anni e sei per Meloni. Assoluzione, invece, per l’estorsione. Ma il giudice ha usato il pugno di ferro.

È grazie alle migliaia di pagine di intercettazioni che gli inquirenti erano riusciti a ricostruire “le relazioni” sassaresi di Graziano Mesina. Colloqui che facevano parte del corposo fascicolo della Dda di Cagliari e in particolare dell’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e altri reati che vedevano coinvolto l’orgolese Mesina. Ed è proprio attraverso queste intercettazioni che i carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Nuoro erano venuti a conoscenza della storia di Marco Milia, il ristoratore di Sassari finito nella trappola degli affari poco puliti dell’ex primula rossa. Milia, che nel 2011 voleva investire nella società di basket Robur et Fides e iscriverla nel campionato di B2, si era rivolto all’allora direttore della filiale 3 del Banco di Sardegna di Sassari, Pierluigi Meloni, per ottenere un prestito di 40mila euro. I due si conoscevano, Milia era presidente della Robur e Meloni dirigente. Il ristoratore era dunque andato non da un bancario qualunque ma da un amico, o da quello che riteneva tale. Ma, stando alle indagini, quei 40mila euro arrivarono proprio da Graziano Mesina. A ottobre del 2011 Meloni avrebbe contattato proprio lui per avere quel prestito da consegnare poi a Marco Milia (ignaro dell’avvio di questa operazione). Finché non è arrivato il momento di restituire i soldi. Non a Meloni – che a quel punto secondo l’accusa aveva indossato i panni dell’intermediario – ma all’ex latitante di Orgosolo. Milia apprese che entro il 31 dicembre di quello stesso anno (2011) avrebbe dovuto restituire non 40mila ma 50mila euro: calcolato in un anno, l’interesse applicato era del 150%. Meloni, ha sostenuto la Procura, fece da intermediario tra i due, pur sapendo che si trattava di un’operazione illecita.

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