La Nuova Sardegna

Allevatore di Laerru rinviato a giudizio per avvelenamento di animali

Uno dei cani antiveleno utilizzati dal Corpo forestale
Uno dei cani antiveleno utilizzati dal Corpo forestale

Primo caso in Sardegna: l'uomo ha provocato la morte di cani, gatti e altre specie per salvaguardare pecore e agnelli

16 novembre 2017
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SASSARI. Un allevatore di 60 anni di Laerru, in provincia di Sassari, è stato rinviato a giudizio per i reati di uccisione e danneggiamento di animali altrui nonché per l’uccisione di animali selvatici particolarmente protetti, a seguito di un’operazione sul luogo del Corpo forestale e di Vigilanza ambientale della Sardegna. Si tratta del primo caso in Sardegna di rinvio a giudizio conseguente all’impiego di sostanze tossiche.

La vicenda. Il gip di Sassari ha disposto infatti il rinvio a giudizio dell’indagato. I fatti risalgono all’autunno del 2016. Gli agenti della Stazione Forestale di Nulvi avevano saputo da alcuni cacciatori della morte dei propri cani per sospetto avvelenamento in territorio di Laerru. Dopo il primo accertamento il personale ha scoperto che già dal 2013 e dal 2014 diversi cani erano stati uccisi dal veleno ma nell’estate del 2015 si era registrato un repentino aumento di casi delineando un quadro ben più complesso.

Nucleo cinofilo. A gennaio la decisione di impiegare nelle indagini anche il ‘Nucleo Cinofilo Antiveleno’ (NCA), recentemente costituito dal Corpo forestale. L’intervento, finanziato dal Programma LIFE dell’Unione europea, prevede infatti un’azione specifica contro il fenomeno degli avvelenamenti, considerati una minaccia per la sopravvivenza dell’avvoltoio grifone in Sardegna.Vengono utilizzati cani addestrati alla ricerca di sostanze tossiche, di esche avvelenate o di animali morti a causa di avvelenamento, domestici e selvatici, occupandosi innanzi tutto delle specie particolarmente protette da norme nazionali e internazionali.

Scenario. Con l’intervento del Nucleo Cinofilo Antiveleno è stato definito un quadro allarmante dei fatti. Alla morte di due cani da caccia (Segugi italiani), avvenuta nell’autunno del 2015, era seguito un periodo di relativa calma, ma nel settembre del 2016 erano stati avvelenati ancora altri due cani da caccia, di razza Drathar. Da qui un crescendo di eventi delineavano una vera e propria strage, sino alle fino alle prime settimane del 2017 in cui alcuni cani avvelenati sono stati salvati ma altri morivano mentre la vicenda interessava anche altri animali: un cinghiale, un agnello, vari gatti, corvi imperiali e diversi cani da pastore sono stati ritrovati agonizzanti o morti.

Cane antiveleno. L’azione del NCA nel corso delle diverse ispezioni, col supporto del cane antiveleno King e del suo conduttore, un veterinario dell’Università di Sassari, ha permesso di risalire a una decina di siti critici con animali morti o tracce di veleno. Individuata anche la motivazione del presunto autore dei reati: l’interesse a liberare dalla fauna selvatica, specialmente da predatori quali volpi, martore e altri, i terreni sarebbero stati sicuri da attacchi agli agnelli appena nati. L’accusa rivolta all’allevatore è di aver disseminato esche avvelenate in tutti i suoi terreni in agro di Laerru, dove avrebbe poi trasferito in sicurezza le sue pecore e gli agnelli.

Una strage. In pochi mesi è stato provocato l’avvelenamento di almeno 14 cani domestici, per la gran parte con esiti letali, quattro gatti, un cinghiale e cinque corvi imperiali. A questo bilancio manca il conto di quegli animali, selvatici o meno, che sono andati a morire lontano dall’area interessata. Le informazioni raccolte dai testimoni, la ricerca delle prove e gli altri elementi raccolti hanno consentito all’Autorità giudiziaria di procedere, qualche giorno fa, al rinvio a giudizio dell’allevatore.

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