La Nuova Sardegna

Animali avvelenati allevatore a giudizio Primo caso nell’isola

di Antonello Palmas
Animali avvelenati allevatore a giudizio Primo caso nell’isola

LAERRU. Sempre più diffusa la criminale abitudine di utilizzare veleni per uccidere animali potenzialmente dannosi per aziende agricole o allevamenti, o che comunque danno fastidio. Un metodo inumano...

17 novembre 2017
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LAERRU. Sempre più diffusa la criminale abitudine di utilizzare veleni per uccidere animali potenzialmente dannosi per aziende agricole o allevamenti, o che comunque danno fastidio. Un metodo inumano e che crea pericoli diretti anche per l’uomo. Ma la notizia che qualcuno finalmente potrebbe pagare per questi atti tiene viva la speranza che la tendenza possa finire. Arriva il primo caso in Sardegna di rinvio a giudizio conseguente all’impiego di sostanze tossiche: dopo un’operazione del Corpo forestale, il Gip di Sassari ha disposto che un allevatore di 60 anni di Laerru dovrà rispondere per i reati di uccisione e danneggiamento di animali altrui nonché per l’uccisione di animali selvatici particolarmente protetti.

I fatti risalgono all’autunno del 2016, a seguito di lunghe e complesse indagini a stretto contatto con la Procura della Repubblica di Sassari. La morte di diversi cani da caccia nel territorio di Laerru iniziata nel 2013 e con un picco considerevole nel 2015 aveva attirato l’attenzione degli agenti della forestale di Nulvi. Lo scorso gennaio la decisione di impiegare nelle indagini anche il Nucleo cinofilo antiveleno, recentemente costituito dal Corpo forestale nell’ambito del progetto Life Under Griffon Wings (salvaguardia dei grifoni).

Gli investigatori constatarono che dopo un anno in cui non si ebbero notizie di avvelenamenti, i casi ripresero nel settembre 2016, vittime alcuni cani da caccia, con un crescendo di eventi che delineavano una vera e propria strage, sino alle fino alle prime settimane del 2017 in cui alcuni cani avvelenati furono salvati e diversi morirono. Stessa sorte per altri animali, ritrovati agonizzanti o morti.

Le analisi dell’Istituto zooprofilattico su carcasse e reperti rinvenuti grazie ai cani antiveleno (in particolare King) ha consentito di individuare una serie di siti critici e di risalire all’indagato. Secondo le accuse, l’allevatore intendeva in questo modo liberare i terreni dalla fauna selvatica, specialmente da predatori quali volpi e martore, per renderli sicuri da attacchi agli agnelli appena nati. Così avrebbe disseminato esche avvelenate in tutti i suoi terreni, provocando la strage: almeno 14 cani domestici, quasi tutti con esiti letali, 4 gatti, un cinghiale e cinque corvi imperiali. Al bilancio manca il conto di quegli animali, selvatici o meno, che sono andati a morire lontano dall’area interessata.

Un comportamento che ormai non è più solo tipico degli ambienti rurali a difesa delle aziende, ma si è diffuso anche nelle città, utilizzato da persone che non sopportano la presenza di animali di proprietà (cani che abbaiano o sporcano, ad esempio) o per avversione nei confronti dei randagi. Con grave rischio per le persone, specie bambini.

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