La Nuova Sardegna

La Sardegna non è un’isola per giovani, pensionato un sardo su tre

La Sardegna non è un’isola per giovani, pensionato un sardo su tre

Presentato il rapporto Inps del 2016: in aumento i contributi versati dai privati. Gli importi più bassi agli agricoltori. Le donne sono più numerose degli uomini e ricevono assegni mensili medi più bassi: 684 euro a fronte di 858

18 novembre 2017
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CAGLIARI. Uno su tre è in carico all’Inps. Oltre un terzo dei sardi, poco meno di 480mila, vive solo di pensione e non sempre se la passa bene. L’assegno mensile di vecchiaia è appena sopra i 694 euro, in media, ma va meglio per chi prima della “panchina” ha lavorato e versato i contributi: incassa intorno ai 1.400 euro. Però gli ex agricoltori sono alla fame: 545 euro al mese. Sono questi i conti dell’Inps in Sardegna, presentati dalla direzione regionale in un dossier zeppo di numeri e tabelle. È un’istantanea per nulla sfocata di una regione sempre più vecchia, ancora prigioniera della grande crisi e soffocata da un cambio generazionale che non c’è. Nella fascia 15-24 anni il tasso di disoccupazione è sempre intorno a un preoccupante 56,3 per cento, e chi non lavora – si sa – non versa contributi e non esiste per l’Inps.

È anche una Sardegna in cui ogni forma di precariato ormai ha avuto il sopravvento, alimentato dall’abuso dei voucher, sono oltre 4 milioni quelli venduti e utilizzati nel 2016, e anche da contratti atipici che fanno rabbrividire solo per i diritti mortificati. L’unica certezza è che le pensioni dovrebbero essere al sicuro anche dalle nostre parti. L’Inps ha i conti a posto, nonostante paghi ogni anno 4,3 miliardi di euro, 30 milioni in più dal 2015 al 2016, e possa contare solo su entrate certificate, in arrivo dai lavoratori dipendenti privati, inferiori ai 2 miliardi. La differenza dovrebbe far tremare i polsi ai pensionati, sono oltre 2 miliardi di disavanzo, ma dovrebbero essere solo virtuali, perché l’Inps ammette candidamente di non sapere l’ammontare dei contributi pagati dai dipendenti pubblici e quindi fra le entrate manca questa voce fondamentale. Però, in una delle successive pagine del dossier, s’intuisce che il buco non dovrebbe esserci, o almeno si spera che non ci sia. Grazie forse anche a una continua razionalizzazione dei costi fissi, leggi soprattutto affitti, e alla possibile chiusura di 18 sedi, agenzie o sportelli rispetto agli attuali 26. Taglio annunciato da Roma, ma contestato sia dall’interno dell’Istituto previdenziale, sia da sindacalisti e sindaci, sempre più preoccupati per lo spopolamento in aumento nei loro Comuni. Provocato quasi sempre da uno Stato, che continua ad abbassare le serrande degli uffici pubblici in nome di una spesa nazionale da disboscare.

Numeri a confronto. In Sardegna la categoria che versa più contributi è quella dei lavoratori dipendenti, con poco più di un miliardo, l’ultima i pescatori, 139mila euro. In mezzo ci sono i commercianti, con 151 milioni pagati all’Inps, ma di contro sono 287 i milioni incassati ogni anno da chi fino alla pensione “andava a bottega”. Poi gli artigiani: 126 milioni in entrata, 355 in uscita. Il differenziale più alto è incolonnato sotto la voce “coltivatori diretti, coloni e mezzadri”: 82 milioni di contributi, 292 milioni per 41mila pensioni.

Generi e province. In Sardegna ci sono più pensionate, 265mila, che pensionati, 212mila. Però quella incassata dalle prime è inferiore di 164 euro (684 contro 848) rispetto agli uomini. La provincia con più lavoratori domestici è Cagliari, 20mila, l’ultima Oristano, 4.738, e in totale sono quasi 45 mila. È sempre Cagliari la provincia che ha utilizzato più voucher, 1,3 milioni, con una punta di 275mila nel commercio. In coda l’Ogliastra con 112mila e 28mila nel turismo.

Welfare. Oltre 82mila sardi, nel 2016, hanno presentato la domanda per l’indennità di disoccupazione e 73 mila sono state accolte. Fra inabili, invalidi civili e assegni sociali l’Inps paga più di un miliardo l’anno ed è una delle percentuali più alte se confrontate al totale di quelle erogate: sfiora il 40 per cento. Nello stesso capitolo anche la cassa integrazione declinata fra ordinaria, straordinaria e in deroga. Sono tutte in calo nel conteggio delle ore, ma non è un segnale positivo. Vuol dire che le imprese in difficoltà non si sono riprese e quindi non hanno riassunto, oppure, nel caso della cassa integrazione in deroga, il crollo da un oltre un milione di ore nel 2015 a 193mila l’anno scorso è dovuto solo ai criteri più restrittivi imposti dal governo.

Chiaro e scuro. La notizia positiva è che gli uffici dell’Inps sono diventati più efficienti in dieci anni. Se nel 2011 avevano bisogno di 236 giorni per definire una pratica e liquidarla, ora l’attesa non supera i quattro mesi. Anche se la media regionale dell’efficienza è ancora abbastanza staccata nel confronto con quella nazionale: sulla terra ferma trascorrono solo due mesi prima di ricevere una risposta dall’Inps. Lo scuro è invece popolato dai soliti furbetti che non pagano i contributi: sono 394 le aziende pizzicate con dipendenti irregolari e in nero, con un’evasione accertata intorno ai 16,5 milioni nel 2016. Ma c’è una speranza: le sanzioni sono diminuite di circa 7 milioni rispetto al 2015 e il che vuol dire che per fortuna i ladri di contributi sono sempre meno. (ua)
 

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