La Nuova Sardegna

«Fine vita, subito la legge coinvolto in un caso Welby»

di Luca Rojch
«Fine vita, subito la legge coinvolto in un caso Welby»

Lo scienziato apprezza le parole del Papa: sono un atto di amore e coraggio Il medico è la persone più indicata ad aiutare e accompagnare questi pazienti

20 novembre 2017
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SASSARI. Che l’uomo sia anima o reazioni elettrochimiche l’ultimo miglio dell’esistenza resta un tabù. Il tema del fine vita diventa centrale, non solo per chi ora spinge per l’approvazione della legge, ma perché in sé racchiude la dicotomia scienza-fede. Ora i timori della scienza sembrano superati dal pragmatismo del Papa. L’apertura di Francesco sul fine vita frantuma i tabù non solo del mondo clericale, ma anche della politica. E offre un assist alla scienza. In Sardegna le parole del Papa sono accolte con grande favore. Perché l’isola, grazie all’associazione Walter Piludu, ha un ruolo di primo piano nella spinta all’approvazione della legge sul fine vita. Anche il neuroscienziato Gianluigi Gessa accoglie con favore l’apertura del Papa. Per lui il mondo è fatto di neurotrasmettitori e reazioni elettrochimiche. Il cervello per lo scienziato sardo non ha segreti. Ma per spiegarlo ha sempre usato la ragione.

Ora nel dibattito entra di forza la posizione di Papa Francesco.

«Papa Francesco ha inviato alla Pontificia Accademia sulla Vita un messaggio chiaro contro l’accanimento terapeutico, l’uso di mezzi terapeutici che permettono di prolungare una vita e un’agonia quando non c’è la speranza di far regredire una malattia mortale. Ma l’eutanasia è “ancora” per i cattolici un peccato mortale, e per lo Stato un reato paragonabile all’omicidio. Eppure alla base delle due scelte, interruzione dell’accanimento terapeutico e l’eutanasia, c’è lo stesso amore per il paziente e la stessa preoccupazione di non farlo soffrire inutilmente».

Qual è la sua posizione?

«Il tema dell’eutanasia, suscita profonda emozione e polemiche laceranti sia nei cattolici che nei non credenti. I cattolici ritengono che Dio sia il padrone della nostra esistenza e non sia lecito nemmeno al padrone del proprio corpo mettere fine ad essa. È vero che qualche medico cattolico talvolta aiuta Dio, che ha tanto da fare, a staccare la spina. I cattolici e quei non credenti che si oppongono all’eutanasia argomentano che non è lecito che il medico aiuti un malato a morire, perché la sua missione è aiutare a guarire secondo il giuramento di Ippocrate. Altri, più concretamente, sostengono che oggi l’eutanasia non serve perché il medico dispone di farmaci efficaci contro tutte le sofferenze, anche le più insopportabili. Questo è vero nella stragrande maggioranza dei casi, ma c’è una percentuale di malati terminali nei quali i farmaci non riescono a sopprimere il dolore, il senso di soffocamento, la nausea, il vomito incoercibile, la sete insopprimibile o a correggere l’incontinenza che degrada la dignità personale. Quando uno o più di questi sintomi persiste e diventa intollerabile è ragionevole che quel paziente, colpito da un male incurabile, che è già depresso all’idea di dover morire, di lasciare i propri cari, i progetti incompiuti, di perdere le sue cose materiali ed è terrorizzato che la sua condizione peggiorerà prima della fine, è ragionevole, ripeto, che quel paziente chieda di essere aiutato a morire».

E il nodo sulla sacralità della vita?

«Le dotte disquisizioni sulla sacralità della Vita riguardano la “vita” di questi infelici. Alcuni generosamente concedono che se qualcuno vuole proprio suicidarsi, lo faccia pure senza l’aiuto di altre persone e tanto meno del medico. Ma se certi riescono a togliersi la vita senza l’aiuto di nessuno altri non possono farlo senza che qualcuno li assista. Pensate ai tetraplegici come Welby o Fabiano Antoniani, noto Fabo, o a quei vecchi malati terminali completamente soli perché sopravvissuti ai proprio cari, parenti ed amici. Perché il medico? Egli è la persone più indicata ad aiutare questi pazienti, perché conosce più di chiunque altro se quel paziente ha un male veramente incurabile, sa quando e come morirà, sa trovare argomenti per scoraggiare una richiesta ingiustificata di eutanasia, ad esempio quando il paziente è depresso. Il medico inoltre può disporre dei farmaci capaci di far dormire per sempre velocemente e senza dolore, ne conosce l’efficacia e le eventuali interazioni con altri farmaci. Ovviamente se ci sarà una legge sull’eutanasia essa dovrà rispettare la libera scelta di quei medici ad essa contrari».

Lei ha una testimonianza diretta?

«Molti anni fa io stesso sono stato coinvolto in un “caso Welby” che mi ha profondamente commosso. Un mio caro amico Gian Franco Ferretti, un professore di parassitologia della nostra università, chiese aiuto a morire. Nonostante fosse inchiodato alla sedia a rotelle da una poliomielite che lo aveva colpito da bambino, Gian Franco Ferretti era riuscito a rendersi completamente indipendente e aveva raggiunto nel lavoro scientifico, nell’insegnamento e nella vita obiettivi conseguiti raramente da persone fisicamente sane. Purtroppo, un malaugurato incidente lo costrinse a dipendere dagli altri anche per le sue più intime funzioni. Ferretti, che militava nel Manifesto, non credeva che Dio fosse il padrone del nostro destino e chiese aiuto perché non accettava una vita senza dignità. Mandiamo a morire in guerra dei giovani sani, sosteneva, nel mondo pratichiamo la pena di morte, godiamo nel vedere uccidere e ferire al cinema e alla televisione, torturare uomini e donne, ma siamo inorriditi all’idea che si possa offrire un atto compassionevole a un malato terminale che vuole morire senza soffrire, con dignità. A Luras, un piccolo paese della Gallura, in Sardegna, c’è un museo che custodisce il martello di legno d’olivo con il quale “sa femmina accabbadora” finiva con un colpo secco e preciso il moribondo che soffriva troppo senza riuscire a morire. Quella primitiva eutanasia era un gesto di pietà nei confronti del moribondo e dei familiari, meno barbaro e ipocrita che lasciar morire di inedia Terry Schiavo in 15 giorni o staccare la spina a Welby, aspettando che muoia soffocato».

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