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Le Aree marine sono oasi ma comanda il mercato

Le Aree marine sono oasi ma comanda il mercato

SASSARI. Sono le sentinelle del mare, gli specialisti della difesa ambientale che da qualche tempo iniziano a raccogliere i frutti di un lavoro iniziato quando anche il predatore più affamato si è...

21 novembre 2017
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SASSARI. Sono le sentinelle del mare, gli specialisti della difesa ambientale che da qualche tempo iniziano a raccogliere i frutti di un lavoro iniziato quando anche il predatore più affamato si è reso conto che il mare non era pozzo senza fondo e che aveva bisogno di forme di rispetto articolate e complesse.

Augusto Navone, direttore dell’Area marina protetta di Tavolara, tira le somme degli anni di tutela, anche integrale, a cui sono stati sottoposti alcuni tratti del mare della Gallura: «Abbiamo registrato nette inversioni di tendenza dal momento dell’istituzione dell’Area marina. Un esempio sono sicuramente le cernie, all’epoca una specie a rischio che adesso popola le acque di Tavolara con un stock piuttosto nutrito – spiega Navone –. Per quanto riguarda questa specie possiamo dire che in atto un forte reclutamento che soddisfa i nostri sforzi». Oltre alle cernie ci sono altre specie a rischio che a Tavolara, e nelle altre Aree marine protette, stanno riprendendo possesso dei fondali marini: «Le nacchere – conferma Navone –. Prima erano facili prede per chiunque. Le prendevano anche i turisti e i ragazzini che non sapevano di causare un grande danno ambientale. Adesso lo sanno ed evitano. Vale lo stesso discorso per le patelle e per datteri: in entrambi i casi abbiamo iniziato a registrare segnali di ripresa che, in questo caso, sono aiutati dalle sanzioni che i pescatori improvvisati rischierebbero se trovati in possesso di questi frutti di mare». Ma ci sono anche criticità difficili da combattere: «Il riccio di mare è sempre a rischio e in questo caso la colpa imputabile al prelievo eccessivo che ha ridotto all’osso gli stock ».

Se le porzioni di costa tutelate dall’Amp sembrano oasi che riparano la biodiversità dalla desertificazione dei fondali annunciata dalle proiezioni, il mare resta comunque in pericolo. Paolo Guidetti, biologo marino e docente di Ecologia marina all’università di Nizza, spiega i motivi che potrebbero causare l’estinzione delle specie: «Nel caso delle cernie è la dimensione del pesce a fare la differenza. A una taglia maggiore del 30 per cento corrisponde una capacità riproduttiva superiore di duecento volte». A mettere in ginocchio le altre specie, invece, sono i tempi di crescita molto lunghi: «Uno squalo, ma anche una razza e tanti altri pesci, crescono lentamente, maturano molto tardi e ovviamente non riescono a rimpiazzare gli stock decimati dalla pesca, anche involontaria. Il tonno rosso, ad esempio, è stato a rischio di estinzione e per evitare che la specie fosse sterminata è stato necessario che i biologi raccogliessero dati e informazioni sulla popolazione e sul comportamento che sono stati fondamentali quando si è cercato il compromesso tra la capacità di riproduzione e le quote pescabili». Ma il colpo di grazia non è ancora scongiurato e la colpa è soprattutto delle abitudini alimentari di chi gusta i pesci a tavola: «Fino a dieci anni fa il pesce si vendeva in maniera diversa – aggiunge Giudetti –. Adesso il consumo di quello che viene chiamato pesce povero è crollato e tutti si concentrano su poche specie. Questo è un errore gravissimo e può essere corretto solo da un intervento sulla cultura della tavola. Ad esempio, ci sono alcuni chef stellati che considerano di altissima qualità alcuni tipi di pesce povero, come il muggine». (c.z.)

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